Uno è tutto felice che finalmente tornano i cannibali al cinema, solo che poi si trova di fronte We are what we are, dove il cannibalismo è si al centro della vicenda ma Jim Mickle ce lo racconta parlando dei rapporti interni ad una famiglia un po’ speciale.
Delusione quindi? Invece per nulla! Perchè il film è davvero ottimo, teso, pieno di riflessioni e racconta una storia dura con toni importanti.
La famigliola (lui, lei, due figlie adolescenti ed un bambino più piccolo) ha la simpatica tradizione, una volta all’anno, di digiunare per qualche giorno prima di regalarsi un lauto pranzetto a base di carne umana.
Alla morte della madre le due ragazze sperano che la macabra tradizione possa aver fine ma il padre non ha nessuna intenzione di rinunciarvi.
Ne viene fuori una storia dura, con le due ragazzine intenzionate a farla finita ma incapaci di ribellarsi al padre. Anche perchè la cosa nasce da lontano, da generazioni precedenti.
La storia è avvincnete, la vicenda narrata con maestria e con toni da dramma vero.
Ed è senza dubbio un film che possono apprezzare anche i meno amanti dell’horror perchè la parte orrorifica visiva è ristretta alla sequenza finale (che però è davvero tosta).
Per il resto è un thriller importante, che tiene teso lo spettatore in attesa di capire cosa succederà, come si evolverà la faccenda, se e come le due ragazze ne verranno fuori.
Ottimi anche i costumi e la scenografia tutta, che ho trovato particolarmente affascinante.
E ottime anche un paio di sequenze costruite con un montaggio alternato perfetto e funzionale, per nulla classico e decisamente complesso.