Curioso vedere uno dopo l’altro Balkan Camp e Butter on the Latch. Si tratta di due modi diversi per raccontare la stessa cosa. Josephine Decker ha scoperto l’esistenza nello stato di New York di un campo di musica balcanice e ne è rimasta talmente affascinata da farci prima un documentario e poi un film.
Il doc è pulito e ben fatto, decisamente tradizionale e gode degli amienti e della splendida musica in cui è immerso.
Butter on the latch è invece un film complesso, folle, malato (ed infatti è nella sezione Onde).
Due ragazze partecipano al suddetto campo ma oltre alla musica vengono fuori le nottate, il loro rapporto (complicato) ed il rapporto con le persone che incontrano.
Tanta (splendida) musica, tanto tanto bosco, alberi, foresta, silenzio, buio, mistero.
E da questo silenzio e da questi boschi viene fuori la parte horror del film.
Inserti di immagini inquietanti, frammenti di bosco. Personaggi che non esistono ma che si presentano costantemente (impossibile non pensare a David Lynch checchè ne dica la Decker). Fino ad un finale drammatico che vira verso la tragedia estrema, inspiegabile, tra spiriti dei boschi e lunghi capelli neri.
Il tutto raccontato con inquadrature e movimenti di macchina molto estremi.