Red family è diretto da Ju-Hyoung Lee ma è prodotto e scritto da Kim Ki-duk e per questo mi riferisco a lui parlando di delusione, nel senso che mi sarei aspettato qualcosa di più massiccio ed invece…
Quattro agenti segreti della Nord Korea sono infiltrati in Sud Korea, sotto la copertura di essere una famiglia tradizionale (padre, madre, figlia e nonno) spiano e compiono azioni paramilitari su indicazioni che arrivano dal Sud.
Fuori sono una famiglia modello, in casa tornaro ai loro ruoli ufficiali ed i toni cambiano completamente.
Fanno amicizia con i vicini e intanto portano avanti le loro operazioni.
Poi però commettono un errore e cominciano a cedere all’ideologia sudcoreana ed allora devono essere eliminati. E qui cominciano i pasticci.
Nel film c’è un sacco di roba.
C’è naturalmente l’ideologia comunista nordcoreana, le operazioni paramilitari, una vita passata in incognito lonatno dalle famiglie d’origine che sono in patria sempre a rischio di ripercussioni.
Poi c’è il raffronto con il liberismo del sud, con il capitalismo. E ci sono anche cose più profonde, come il parallelo tra le due famiglie. Perfetta in ogni dettaglio quella finta, scombinata, sempre litigiosa e sull’orlo dello sfaldamento la famiglia del sud, che però è quella vera, che vive una vita vera e non di copertura (meglio litigare ed essere veri? questo il senso).
E ancora i dubbi che nascono negli agenti, la violenza, la vendetta meschina del regime sulle famiglia, gli ordini eseguiti senza pensare. Significativo che i più lucidi di tutti siano i due ragazzini, una speranza per il futuro dei due paesi.
Insomma roba seria, giusta, rifelssioni importanti.
Solo che è tutto buttato lì in maniera talmente banale, talmente scontata, senza un’invenzione, che sia filmica o narrativa, capace di rivitalizzare il tutto. Tutto talmente ovvio che le riflessioni pur buone si perdono nella mediocrità del film.
Kim, perchè l’hai fatto (così)?