Permettetemi una riflessione (preoccupata) su quanto accaduto ieri alla conferenza stampa di presentazione del Torino Film Festival 35 (quello che c’è da sapere sul TFF35 lo trovate su Qp). La conferenza stampa tutta al femminile (bene!) (c’erano le assessore Leon e Parigi – non parlanti – la direttrice Martini e la presidente del Museo Milani – nessuna notizia della direttrice protempore del MNC Pesenti Campagnoni), la conferenza stampa, dicevo, ha vissuto un momento di panico sul finale. Ve lo lascio ascoltare nell’audio di Agenda di Torino.
Se non avete Facebook il senso è il seguente. La presidente Laura Milani, impassibile come sempre, ha annunciato – in seguito a domanda – che per l’anno prossimo si stanno pensando “nuove direzioni” per il Torino Film Festival.
Ora, essendo l’indicazione decisamente vaga qualcuno in sala (mi pare il buon Cavalla) ha chiesto cosa si intende per “nuove direzioni”. La risposta della Milani ha fatto riferimento all’annunciata cerimonia di apertura di quest’anno del Festival.
La cerimonia in questione (venerdì 24 alla Mole Antonelliana, ad inviti, alle 20, preceduta da luculliano banchetto) prevede (come ha specificato sempre la Presidentessa) la non presenza di una madrina o un padrino del mondo del cinema (roba vecchia), ma la presenza di quattro guest star di “altre arti”: letteratura, design, food e musica.
(Nota personale: io al sentire “food” tra le arti ho avuto un mancamento e la quarta arte ho poi dovuto recuperarla dal comunicato stampa).
Per la cronaca le quattro guest star saranno Ugo Alciati (chef stellato – food), Luca Bianchini (scrittore – letteratura), Chris Bangle (designer – design) e Max Casacci (produttore e musicista – musica).
Insomma, quello che conta non è tanto la cerimonia di apertura di quest’anno, fatela un po’ come vi pare, quantol’idea (pare in fase già avanzata) di modificare il Torino Film Festival per i prossimi anni “aprendolo a contaminazioni con altre arti”. Che, badate bene, non vuol dire che ci sarà una sezione con film dedicati al Food, vuol dire qualcosa di diverso, che non mmmi è per nulla chiaro e che mi preoccupa seriamente. Temo l’anno prossimo di dover vedere film da eataly mentre Cracco condisce patatine San Carlo con gamberetti e curcuma.
La Presidentessa Milano, in risposta al gelo calato in sala per una trentina di secondi, ha chiuso la faccenda con un “ne parliamo l’anno prossimo”. Facciamo così: ora ci godiamo il Festival e poi ne parliamo subito dopo, diciamo lunedì 4 dicembre. Perchè se ne parliamo l’anno prossimo sarà troppo tardi, se ne parliamo invece subito forse c’è la possibilità di far cambiare idea a chi ha avuto questa alzata d’ingegno.
Sono 35 anni che cerchiamo di difendere l’dentità del TFF da attacchi vari. Finora ci siamo riusciti evitando, per esempio, di correre dietro alla Festa del Cinema di Roma (o come diamine si chiama) e riempire Torino di film di cassetta a scapito delle nuove scoperte (ricordi Coppola?), ora bisognerà difenderlo dal correre dietro a formule moderne e parmi cervellotiche.
L’obiettivo, direte voi, è salvare il Festival da morte certa. Io temo che così ne acceleriamo la dipartita. Conserviamo il nostro TFF, la scoperta dei giovani registi, dei nuovi attori. Cerchiamo nuovi importanti investitori privati. Anche tagliare sale e film (quest’anno via le tre sale del Lux e una quarantina di film in meno rispetto allo scorso anno) non mi sembra la soluzione migliore (ma probabilmente inevitabile a breve scadenza visto il taglio del 12% del budget).
Intanto mentre la Presidentessa Milani prendeva la scena e in sala calava il gelo, la direttrice Martini (che è una comunque pratica e aperta alle nuove idee) ripeteva come un mantra quel 22,5% di film in meno, senza fare commenti sullle “nuove direzioni” future. Se ho imparato a conoscerla in questi anni credo che non metterà il suo scalpo rosso a disposizione di un festival che non abbia il cinema al centro (e anche ai lati).
Insomma, ora godiamoci il TFF35, poi da lunedì 4 cerchiamo di approfondire la faccenda delle “nuove direzioni” e interveniamo prima che sia troppo tardi.