Parlano italiano i cellulari della rinascita di Motorola

da www.repubblica.it

Parla italiano per una buona metà la nuova generazione di telefonini Motorola, quella tutta tecnologia e design che negli ultimi mesi ha permesso al produttore Usa di terminali mobili di risalire la china e di riproporsi come numero 2 mondiale del settore alle spalle della per ora indiscussa leadership della Nokia.

E parlano italiano, con un leggero accento piemontese nuovi modelli come l’E1070, che sarà lanciato alla fine di questo mese, perché escono dal centro ricerche Motorola di Torino.

Nell’Italia che non esporta, che fa fatica a star dietro al ritmo delle tecnologie più avanzate, che non attira capitali stranieri, questo centro torinese sembra una specie di miraggio. Ve bene che è nato nel 1999, quando si era in piena bolla Internet e le cose sembravano destinate a cambiare presto, radicalmente e dappertutto (quindi anche in Italia), ma poi è di fatto partito proprio mentre la bolla scoppiava, nel 2000. Oggi occupa 500 ingegneri, equamente ripartiti tra la divisione «software group», che pensa sistemi e applicazioni di rete per il gruppo, e la divisione «mobile», che si occupa della progettazione dei nuovi modelli.
«Nell’arco di 5 anni siamo diventati una delle principali strutture della galassia Motorola», scandisce Massimo Marcarini, responsabile della divisione mobile. E spiegare perché è anche spiegare come nasce l’idea, per Motorola, di venire in Italia e di venire, in particolare, a Torino.

Perché l’Italia? In prima battuta perché Italia e telefonini è uno dei pochi binomi positivi riconosciuti all’estero. Siamo uno dei mercati più dinamici e più avanzati dal punto di vista dell’introduzione delle nuove applicazioni. E poi, in particolare per Motorola, l’Italia significa uno dei mercati più forti in cui ha una posizione di rilievo, con una quota di mercato che è sempre stata sopra quella media mondiale (oggi è del 24% da noi e del 17,9% nel mondo). E’ stata l’Italia a decretare il successo dei cellulari a conchiglia che poi sono diventati uno standard a cui si è dovuta piegare perfino Nokia. Ma questo da solo non basterebbe a decidere di portare un centro di ricerca in Italia se non ci fossero altre sinergie da attivare. E queste sinergie sono state trovate a Torino. Che ha una tradizione tutta sua nel settore delle tlc e delle radiofrequenze. Qui è nata la Rai, poi sono arrivati lo Cselt, oggi Telecom Italia Lab, poi c’era l’esperienza dell’Olivetti qui vicino, ad Ivrea, e ancora: la cultura aerospaziale con l’Alenia erede della vecchia Selenia. Poi l’automobile, naturalmente, che però, meno ovviamente, non è solo il design. Il tutto concentrato nel Politecnico. E infatti proprio il Politecnico ospita la prima sede del centro di ricerca Motorola, altro buon esempio di collaborazione tra struttura pubblica e privati.

Oggi il centro si occupa di due aspetti sui tre che compongono un telefono cellulare. Un telefonino si divide infatti in meccanica, elettronica e software. Qui a Torino si fa il 90% della parte meccanica, una buona metà dell’elettronica e, soprattutto, si fa l’integrazione delle tre, il passaggio finale che dà vita al prodotto pronto per essere inviato alle linee di produzione. «E’ qui che si decide la struttura di un telefono, la disposizione degli elementi e i materiali, per finire con i test di impatto, le certificazioni», elenca Marcarini.
La parte «meccanica» di un terminale può sembrare la più povera di tecnologia, ma non è così. E’ invece sorprendente scoprire quanto l’involucro di un cellulare debba a settori apparentemente distanti come l’aeronautico e l’automobile. «L’A839, che è stato il primo cellulare Umts lanciato sul mercato, deve molto alla cultura automobilistica spiega Marcarini, che è a sua volta un ingegnere aeronautico Con l’Umts i display sono tornati ad ingrandirsi, ma sono diventati più delicati e devono essere protetti. Noi abbiamo portato qui il concetto di struttura a cellula che viene usato nelle automobili». Risultato: primo un cellulare riusciva a resistere all’impatto dopo una caduta da non più di 25 centimetri. Oggi se cade da un’altrezza fino ad 80 centimetri non si rompe. Il display «flotta» dentro una cellula. E poi ci sono gli studi sui materiali che vengono dall’aeronautica e ancora dall’auto. Per esempio, gli Umts sono più pesanti dei cellulari Gsm: un 30% di peso in più perché deve gestire due frequenze, deve avere più memorie, aumentano le applicazioni da inserire, che non sono solo software.

Ormai sono molti i modelli Motorola usciti da Torino. Dal primo Umts A389 alla serie a basso costo di Gsm C380 e C381, poi il V150, i «C» 550, 975 e 980. E ora l’E1070 che presenta diverse innovazioni. «La più eclatante spiega Marcarini è il nuovo sistema di riconoscimento vocale. E’ nuovo perché non bisogna più registrare la propria voce: si scrive il nome di un contatto in agenda come nei normali telefoni, poi si pronuncia quel nome e parte la chiamata. Poi è il primo Motorola a conchiglia con l’antenna interna, soluzione che comporta una serie di problemi che i «candy», come vengono chiamati i telefonini a barretta, non hanno («perché hanno una maggiore superficie utile per l’antenna», dice Marcarini). E poi è naturalmente un telefono multimediale, pronto a ricevere tv e musica, con la possibilità di ospitare una memoria transflash da 512 mega. E, per ascoltare la musica senza il fastidio dei cavetti, la possibilità di farlo funzionare in stereo con delle cuffia bluetooth. Il tutto per un prezzo che non è stato ancora fissato con esattezza (ci sta lavorando la Tim che lo distribuirà in esclusiva) ma che dovrebbe rimanere sotto i 300 euro. Le prossime innovazioni? Marcarini enumera: «La tv sui terminali. Stiamo lavorando sui due standard, Dvbh e Dmb. E poi la possibilità di riuscire ad inserire un hard disk vero, per far arrivare la memoria del cellulare fino ai 45 giga, come un iPod».