L'Italia tra i fanalini di coda per l'innovazione

Via Lastampa.it

Un’altra ricerca che non scatta una gran bella fotografia dell’Italia. L’istituto Forrester Research ha diffuso lunedì i dati di un suo studio sull’innovazione scientifica e tecnologica, condotto attraverso l’analisi di 26 paesi aderenti all’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico. Secondo la ricerca, il nostro paese non brilla certo per capacità innovative, rimanendo al fondo delle graduatorie di tutti gli aspetti presi in considerazione.

A dire il vero, Forrester Research bacchetta un po’ chiunque. E’ l’approccio generale ad essere sbagliato, spiegano i curatori della ricerca. In genere si tende a confondere l’innovazione con l’invenzione, preferendo investire un sacco di soldi nella ricerca di nuove invenzioni, senza sfruttare al massimo quelle che sono già a disposizione. Un errore, spiega il vicepresidente di Forrester Michelle de Lussanet, perché “il rafforzamento nazionale, il potere, la ricchezza e il benessere dipendono più dall’implementazione delle innovazioni rispetto all’invenzione stessa”.

Insomma, se i governi pensassero a investire soldi per sfruttare le invenzioni già esistenti, invece che cercarne di nuove, sarebbe meglio. Per arrivare a questo risultato, però, bisognerebbe superare un altro grande difetto di impostazione: le tendenze all’isolamento e all’autarchia. “L’innovazione viene considerata troppo spesso come un fattore interno al paese”, si legge nella ricerca. “Le nazioni dovrebbero invece giocare sui loro punti di forza e avvicinarsi a quei paesi che possano essere complemento di quelle forze”.

Si dovrebbero realizzare quelle che Forrester Research definisce “Innovation networks”, “reti di innovazione”, nelle quali la condivisione di conoscenze e competenze crea un valore aggiunto per tutto il sistema internazionale ma anche per le singole nazioni. L’esempio da seguire è quello di Internet, dove proprio la collaborazione peer-to-peer e la diffusione di reti sociali sempre più estese e interconnesse sono le grandi protagoniste dei nostri tempi.

Forrester Research individua quattro categorie di possibili contributi all’innovazione, quattro ruoli nei quali i singoli paesi dovrebbero cercare la propria specializzazione: “inventore”, “trasformatore”, “investitore” e “intermediario finanziario”. Ed è qui che per l’Italia iniziano i dolori. Perché l’istituto ha messo in ordine i 26 paesi seguendo questi quattro criteri e suddividendoli in altrettante fasce di merito, da leader a risky bet (“scommessa rischiosa”).

L’Italia è sempre finita nella fascia più bassa, quella delle scommesse rischiose. Con Australia, Ungheria, Spagna, Polonia e Messico, il nostro è considerato uno dei paesi meno innovativi tra quelli più sviluppati (nei ventisei presi in considerazione, ci sono praticamente l’intera Unione Europea, il Canada, gli Stati Uniti, il Giappone e la Corea del Sud).

Dall’altra parte della classifica, tra i migliori, Forrester Research individua Svizzera, Stati Uniti, Irlanda, Finlandia e Svezia. Paesi che non sono perfetti in tutto, ma che almeno primeggiano in un settore. Svizzera e Stati Uniti mostrano il meglio nel campo dell’invenzione vera e propria. L’Irlanda è un’ottima “trasformer”, riesce cioè a sfruttare molto bene le invenzioni “altrui”, ospitando aziende innovative sul proprio territorio. Svezia e Finlandia, infine, spiccano dal punto di vista “financier”, cioè investono la maggior quantità di soldi pro capite in sviluppo e tecnologia, per migliorare le condizioni di vita del cittadino.