In una sorta di sopravvivenza più o meno collettiva, di resistenza in apnea, di distrazione quasi isterica. Così viviamo, nella nostra Italia del 2014. In attesa di ‘qualcosa’ che i credenti definirebbero miracolo e gli atei grande colpo di fortuna. Già. La provvidenza, una svolta mondiale, una botta di genio e soldi o giù di lì. Magari una magia da favola. Insomma una soluzione.
Perché nel mezzo del pantano economico e sociale la guerriglia politica è lontanissima dalla strada, dalle case, dalla gente. Ma la gente, appunto, tira a campare come se in fondo prima o poi qualcosa dovesse accadere. Qualcosa come un colpo di spugna, una nuova alba, un roseo orizzonte.
Non è che guasti un po’ di ottimismo e un sano esercizio di speranza però dal punto di vista culturale è un fenomeno davvero inquietante il cocciuto principio di attesa. Posso intravedere nel fatalismo una sorta di saggezza della vita, che in verità il destino è già scritto e, sono d’accordo, non ci mette in mano la penna per fare chissà quali correzioni. Ma stento a comprendere il vago e fumoso affidamento a chi di dovere.
E, ancor più forse, la finzione. Si, fingiamo di vivere. Di fare quello che abbiamo sempre fatto, di avere chissà cosa, di programmare come riempire il domani. ‘Ridimensionare’, l’avrete notato, è la parola d’ordine. Le vacanze si accorciano, lo shopping rimpicciolisce, l’aperitivo si dirada, la cena con gli amici si fa episodica. Però non si molla. Se ne parla lo stretto indispensabile. E non ci si incazza neanche troppo con quelli che hanno le redini in mano.
Su facebook si condivide possibile e impossibile, tranne i buchi nel portafogli. Neanche fosse vergognoso, insostenibile o illegale accidenti. Il confronto è aperto su tutto, dalla palestra all’amore alle ricette di cucina, ma guai a tirar fuori l’affanno della quarta (o della terza) settimana del mese. C’è la censura preventiva. Non di facebook, di noi stessi. Che tiriamo a campare ma siamo capaci di inventarci che non ci danno le ferie o dobbiamo stare a casa a curare il cane piuttosto che sputare il rospo e dire che mancano i quattrini per la settimana al mare.
E, d’altra parte, fino all’ultimo respiro si cercano di arginare le ‘rinunce dell’apparenza’. Possiamo digiunare tra le quattro mura domestiche ma non archiviare gli sfizi della moda.
Anzi. Se proprio non possiamo permetterceli stiamo comunque sull’onda. Chiacchieriamo di borse con le amiche, come se davvero fosse un argomento interessante, ci appassioniamo all’ultimo modello di cellulare, come se stessimo meditando l’acquisto, discutiamo di taglio e tinta di capelli, come se la parrucchiera fosse ordinaria amministrazione.
Tiriamo a campare perché ci allontaniamo dalla sincerità, dall’autenticità. Roba che finiremo per sentirci nella stessa realtà di quelli che possono tutto pure mentre affoghiamo in un mare di guai. Senza neanche la consolazione di essere uniti, solidali, liberi…liberi almeno di non mentire.
Irene Spagnuolo