Superbia a tutto campo, esuberante, appiccicosa, perniciosa. Un baratro tra noi e la dignità. Una piaga, individuale e collettiva.
Non sappiamo più godere dell’umiltà di imparare, della serenità della virtù, del piacere di rispettare gli altri, le cose, la vita.
Stentiamo a capire che il senso del dovere, l’impegno, la responsabilità sono prima di tutto esercizio di riguardo verso se stessi. L’umiltà è il primo nutrimento che dovremmo dare alla nostra coscienza e alla speranza di un’esistenza sostenibile. Invece ci lasciamo attrarre dalla furbizia, dalla cialtroneria, dalla volgarità, dal menefreghismo.
Non è alta filosofia, intendiamoci. E’ un concetto semplicissimo di logica morale…o di morale logica.
Sgomitare, svicolare, trascurare, sopraffare sono comuni iatture dei nostri tempi. E, al di là del boomerang che ci investirà, tutto questo un effetto terribile l’ha già prodotto. Ed è l’impoverimento spirituale, culturale, sociale. Dove non c’è più la gloria dell’onestà, del merito, della dedizione non si può aspirare a un luminoso orizzonte.
D’altra parte, rapiti da ossessioni effimere e ansie di abbondanze materiali, abbiamo perso qualsiasi dimestichezza con il mestiere delle mani e del respiro ovvero con la voglia e la gioia di faticare, di sudare, di creare, di sapere, di camminare.
Belli e longevi, magari. Ma tristemente sviliti. Automi con un’anima posticcia e flaccida.
Abbagliati da qualche illusione e rassegnati alla superficialità giustifichiamo il lassismo con l’impotenza e l’arroganza con la dura legge del più forte. Senza equilibrio, senza misura. Come guitti scalmanati, confusi, imbizzarriti.
Superbia tout court.