Una piccola impresa meridionale di e con Rocco Papaleo è un capolavoro.
Lo è ben al di là della storia, delle ambientazioni, delle interpretazioni che già sono eccellenti. Lo è nel Faro e nel percorso. Lo è nello spirito. Lo è nel respiro infinito.
La trama non ve la racconto: è un film da vedere e sentire e poi rivedere e risentire e infine accogliere e amare.
Il prete “spretato”, la vecchia madre, la prostituta, i circensi muratori, le lesbiche, il cornuto, la bimba di genitori separati e tutto l’universo più o meno parallelo non sono solo uno spaccato umano e sociale della nostra realtà, sono un grandissimo trampolino di lancio per un cammino di luce e apertura. Per un autentico risveglio, direi.
Un risveglio che non può che accendersi con la sensibilità, la passione, l’autenticità degli istinti, degli aneliti e dei sentimenti più naturali.
Quella di Rocco Papaleo è una riflessione profonda. Tanto profonda che si può cogliere solo con la semplicità dei sensi liberi, fuori dalle logiche e dagli schemi con i quali si valuta “l’opera cinematografica”. E’ una strada, quella di Rocco Papaleo e di Una piccola impresa meridionale che, chi adora abbracciare qualche filosofia di pensiero, chiamerebbe scelta di vita. Io la trovo uno stato dell’animo. E la luce del faro è perfetta come guida, almeno per chi è pronto a imboccare la via illuminata.
La costruzione o la ricostruzione, in un’armonia che supera l’ordine architettonico.
“Non ci avrete!” grida giustamente il magnifico Jennifer, perché lui e gli altri non capitoleranno mai ai pregiudizi e alle convenzioni, alla miseria morale, alle catene e al vuoto implacabile. Loro sono altro, sono oltre. Loro sono la virtù della conoscenza, quella dei costumi buoni davvero. Levigati dal tempo, dall’onestà, dalla purezza.
Le scene, i dialoghi, le musiche sono ricche di questa intensità lieve ed essenziale perché in una Piccola impresa meridionale finalmente il bene e il male sono nella loro intima essenza non nel codice delle regole. Ci sono testa e cuore e non scatole ad incastro obbligato. C’è la verità, agli occhi di chi sa vedere e di chi ha la voglia e il coraggio di vivere la vita rispettandola. C’è l’unico legame degno di essere tenuto sempre saldo: quello della fratellanza.
Che poi il faro, come la mamma, possano contenere e comprendere tutto, è la chiave sottile di una dimensione metaforica incantevole.
La sceneggiatura acuta e brillante di R.Papaleo e Valter Lupo una regia delicata e originale calano i pensieri, le emozioni, i desideri e i passi in uno sviluppo denso di sfumature. Vivace, a tratti esilarante, sul filo dell’equilibrio e della caduta.
In questo è formidabile, Rocco Papaleo. Nell’ironia e nella leggerezza. Nel garbo asciutto e nell’intelligenza sublime che si mescolano fino a togliere il velo dalla commedia della vita per raccontare quello che siamo e potremmo (o dovremmo!) essere. Il cast è eccezionale: Rocco Papaleo, Riccardo Scamarcio, Barbora Bobulova, Sarah Felberbaum, Claudia Potenza, Giuliana Lojodice, Giovanni Esposito, tutti di una bravura assoluta.
Invece del piglio della lezione, Rocco Papaleo ha il talento del messaggio sommesso dunque la critica, sulla sua “ribellione sottovoce”, non è mai troppo generosa si sa. Le doti intellettuali per un movimento più vigoroso e incisivo Papaleo le avrebbe tutte e forse qualcuno invocherebbe da lui un tono più alto, una bella voce incisiva e stentorea.
Ma la luce del faro, credetemi, arriva forte e piena. Nella vibrazione delle parole e dei risvolti, nei simboli limpidi, nell’entusiasmante disegno del futuro. Si tratta solo, davanti a un film ENORME di sedersi da spettatori ENORMI. Talvolta nelle piccole imprese risiedono i grandi valori…
E, comunque, Rocco Papaleo, amico mio carissimo, adesso il faro è lì, basta lasciarsi illuminare. E tu, ne sono certa, lo farai. La speranza è con noi, sempre.