Gli italiani sono allergici alla rivoluzione. Non alla parola, di quella fanno uso e talvolta abuso senza alcuna crisi respiratoria o di orticaria. Ma alla sostanza.
Le azioni rivoluzionarie sono praticamente il vero tabù italiano. Non che la scoperta sia mia, purtroppo è dato rilevato e arcinoto da parecchio. E’ che oggi più che mai il tallone d’Achille duole e fa a pezzi il cammino civile.
A me umanamente questa cosa stritola cuore e cervello. Vorrei capire ma non ce la faccio. Sono bloccata dal terrore. Quello di realizzare che è un male incurabile. Che non c’è prospettiva di liberazione.
Alla fine è meglio morire o vivere nella disperazione?
Drammatica domanda. Aggrapparsi emotivamente al battito della sopravvivenza è un impulso naturale, forse. Ma non potrebbe esserlo altrettanto, vista l’indolenza e la rassegnazione, consegnarsi alla sepoltura?
Nell’oscena tarantella della politica non c’è altro che la nostra miserabile italianità. Eppure lì ci diamo da fare con l’insulto e la condanna, quasi ci sollevasse da ogni altra incombenza, ci assolvesse da tutte le colpe e ci restituisse intatta la dignità.
Slabbrati e sfibrati come stracci lanciamo freccette fuori bersaglio. Un po’ ingenui, un po’ menefreghisti, un po’ flaccidi, un po’ intriganti.
E dove diavolo sono i fari dello spirito? In verità ci sono ma non hanno alcun appeal. Hanno perso smalto e carisma. O sono indaffarati in qualche alta strategia e si faranno vedere chissà quando solo ai pochi superstiti dello sbando totale.
D’altra parte i pochi volenterosi della rivoluzione, seria e pacifica, sono messi al palo. Come poveri illusi, noiosi predicatori, personaggi fuori moda. E allora i fari possono pure lanciare segnali e illuminare la rotta dei naviganti ma quasi nessuno se ne avvede.
Che tristezza. Chinare il capo e attendere con speranza è un esercizio di tortura.
Finché la barca và lasciala andare…Però quando affonda non perdere tempo a piangere, accusare, prestare soccorso. Si salva solo chi può.