Non mi sento sciocca a pensarlo e a scriverlo. Anzi. Comprendo benissimo ora l’ansia da accumulo.
Questione d’età, credo. Se non sei così giovane da illuderti di avere tutto il tempo per qualsiasi cosa e così vecchia da poter accedere allo stato della rassegnazione, al dolore del rimpianto, alla quiete dei sensi, alla profondità della saggezza o alla rabbia un po’ sbilenca dei passi incerti e delle mani stanche, ti si appiccica addosso l’inquietudine. Perchè il disincanto e l’energia per fare entrano in rotta di collisione. Perché ti accorgi che hai bisogno di fermarti ma sai che farlo vuol dire perdere certi attimi per sempre. Perché ormai hai preso la misura ai minuti, ai giorni, agli anni e non basta l’inganno dei propositi, delle speranze, delle scuse.
Anche il fatalismo che puoi abbracciare per affidare serenamente al destino il bene e il male non placa il tormento. Ti sei abituato al senso di colpa, al rimorso, al conto da pagare, al sudore della conquista. E non puoi più assolverti.
Fai a pugni con i tuoi limiti e poi cerchi di fare la pace, ormai ti è chiaro che ti accompagneranno fino alla morte. Devi sopravvivere, insomma. Accettarli e accettarti. Con tutti gli errori, le mancanze, le fragilità.
E se un giorno ti chiama a uno sforzo immane, quello dopo provi a riprenderti il respiro nascondendoti agli occhi della fatica, della grinta, del dovere.
D’altra parte ce la metti tutta per godere un momento di felicità. Hai imparato che non puoi perdere l’occasione e devi abbracciarla con tutta la forza che hai.
Una giostra e molti capogiri.
Inutile tirare in ballo l’ottimismo. L’animo segue l’onda degli eventi, degli ostacoli, delle brutture. I pensieri corrono. Qualche volta quelli angoscianti svolazzano come nubi minacciose su tutto il cammino che compi per schivarli, tenerli a bada, confonderli con quelli meravigliosi. Ti ritrovi con le membra indolenzite e un velo di paura che sbiadisce pure i brillanti colori dei sogni.
Non è tutto drammatico, lo so. Talvolta il nostro turbamento percepisce nell’aria una sciagura che non c’è o, semplicemente, amplifica minuscoli segnali. Purtroppo qualche volta accade anche che lo sconforto con il quale ci muoviamo faccia svegliare il cane che avremmo dovuto lasciare tra le braccia di Morfeo.
Non dovremmo complicare la semplicità, ecco. Peraltro dovremmo avere anche una bussola per non perdere l’orientamento quando navighiamo in acque troppo agitate…
Mi chiedo se a ciascuno tocchi davvero solo di portare il fardello che è in grado di sopportare. O se qualcuno è baciato dalla fortuna di una zavorra leggera e ad altri capiti il peso colossale.
Dovrei addentrarmi pure nella storia della qualità, del fardello intendo. Perché ci sono carichi con i quali, pur se grossi, si convive piuttosto allegramente e altri, invece, che alterano inesorabilmente ogni possibile equilibrio esistenziale. Ma il terreno è delicato e scivoloso, non ho alcuna voglia di infilarci il naso con le parole. Mi basta la prova sulla pelle. Anche questa, anzi, è una delle spine nel fianco della mia coscienza di oggi: le paturnie e i problemucci che molti lamentano come pena intollerabile non sono neanche degne di un posticino nel catalogo delle umane amarezze.
Il tempo vola. E alla fine mi auguro metta le ali anche alle ore di sofferenza.