Che alla fine se non possiamo e vogliamo lasciare il nostro Paese in massa ci toccherà, mi auguro, decidere di espatriare qui. Di costruire una ‘patria’ nuova, insomma. Di fare una rivoluzione culturale, di quelle grosse. Di svoltare, con decisione e velocità.
Perché tutti hanno mille ragioni per lagnarsi, per non farcela più, per morire di crepacuore, e allora tutti possono rimboccarsi le maniche e partire. Partire verso l’Italia, quella che dovremmo vivere e invece subiamo, quella che dovremmo amare e invece odiamo, quella che dovrebbe essere sogno e invece è incubo.
In valigia occorre mettere il meglio di noi. Esattamente come quando si decide di cercare fortuna chissà dove. Perché questo è tutto. In capo al mondo tiriamo fuori l’eccellenza qui a mala pena riusciamo a tenere una condotta da sufficienza. Altrove rispettiamo le regole qui siamo abili solo a trasgredirle. Qua e là mostriamo di essere cervelli nel nostro stivale ragioniamo con i piedi.
Certo, qui ci sono i limiti, gli ostacoli, le storture, i disastri, le ingiustizie, i vizi. E’ vero, dobbiamo dare un bel colpo di reni e di spugna. Però diamolo, accidenti. Riprendiamoci la nostra Italia, costi quel che costi. Che tanto peggio di così non ci possiamo ridurre, non la possiamo ridurre. Forse qualsiasi cosa può essere meglio di questa vita senza movimento.
Già, ci serve un viaggio. Un’emigrazione. Di cuore e mani. Di desideri e progetti. Di forza e euforia. Dobbiamo raggiungere con ogni mezzo il nostro Paese. Forse non è una missione impossibile. Forse non ci vuole più coraggio di quanto non ce ne voglia a lasciarlo per andare lontano, lontano, lontano.
Cambiamolo. Cambiamoci.
Irene Spagnuolo