Basta, non ce la faccio più, e vi prego di leggerlo a mo’ di Magda del film Bianco, Rosso e Verdone.
E ancora, non ce la faccio più, con il tono decisamente più aggressivo, a leggere e sentire il dramma della disoccupazione giovanile. Primo perché non riesco assolutamente a comprendere come si faccia a non percepire che il dramma non ha età. Secondo perché mi arriva in faccia violentemente la sensazione che nessuno dica la verità, ovvero che i pochi posti di lavoro che il mercato offre sono rivolti unicamente ai giovani mentre a quelli non più ventenni si riserva la sprezzante negazione di qualsiasi speranza.
Alla cassa di un supermercato, in un qualsiasi negozio o studio professionale, perfino negli uffici di selezione del personale si trovano tenerissime facce alle prime armi.
E allora? Non ci sono sufficienti posti di lavoro. Ma quelli che ci sono sicuramente sono saldamente in mano ai giovani. Dopo i 30 anni siamo tutti, inesorabilmente, destinati alla rottamazione. Non me ne voglia la fresca generazione se in questo ravvedo un dramma ulteriore, cioè quello del tutto affidato all’inesperienza. Non è una colpa dei ragazzi, ben s’intende, ed è giusto dare loro ogni modo per formarsele, la competenza e la maturità lavorativa. Si tratta se mai di comprendere che nessun ambito può essere completamente esplorato senza la sinergia di giovani e adulti. E che dobbiamo smetterla, tutti, di prenderci per il naso. Se il Paese finge di investire sui giovani come risorsa per il futuro ma non sopravvive oggi non ci sarà il domani per alcuno. Vogliamo offrire collocamento ai figli perché debbano mantenere o sostenere i genitori cinquantenni o sessantenni rimasti disoccupati? La sintesi non è estrema, semplicemente chiara e inequivocabile.
Molti datori di lavoro hanno ragioni evidentissime per preferire le assunzioni di ragazzi. I giovani costano meno, questo è il punto. Il disoccupato di quarant’anni (ovvero vecchio e decrepito a tutti gli effetti salvo a quelli del pensionamento) comporta spese non tollerabili, magari è capace e disposto a impegno e sacrifici di ogni sorta ma è da scartare subito.
Le responsabilità di questo incubo gravano su tutti. Sugli anni di aspettative e pretese fuori da ogni sostenibilità, sui meccanismi normativi completamente sballati rispetto alla realtà, sulle concezioni politiche, sociali e culturali sorde e cieche di fronte alle degenerazioni e alle derive. Sulla mancanza di onestà e coraggio. Su concezioni economiche che coprono l’economia di vergogna. Su una cittadinanza piegata su convenienze, fatalismo, scorciatoie, illusioni, perversioni.
Un disoccupato è un disoccupato, in un Paese civile. E qualsiasi serio disegno per non far dilagare la disperazione parte da questo. Nulla più e nulla meno. Occorre ripensare, profondamente, il nostro sistema mentale prima di quello legislativo. E fare un’analisi seria della realtà e del tempo. Quali settori possono essere produttivi, cosa ci serve, dove andiamo, che bisogni abbiamo accidenti. Altrimenti oltre ad avere una marea di adulti nel baratro avremo una marea di giovani confusi, in balia di una colossale menzogna intellettuale e pratica.
Possibile che non si possa mai sollevare del tutto il velo dall’ipocrisia, dall’informazione distorta, dalla rabbia o dal dolore silenziosi? Le misure contro la disoccupazione giovanile…ecco, davanti a espressioni così indigeribili il vostro stomaco come si sente?
Il precariato giovanile è una piaga. Giusto, occorre aggiungere anche questo. Ai giovani sono state consegnate le scadenze e le sfide come elementi di panico e umiliazione insopportabili. Posso invece presentare personalmente un bel numero di signori e signore che brinderebbero a un contratto di un anno. Potremmo valutare anche questo, cortesemente?
Tutti insieme, naturalmente. Giovani e anziani di 35 o 42 o 55 anni.