Un ateneo ad alta selezione

Via La Stampa

«In un momento di difficoltà generale di tutto abbiamo bisogno tranne che di polemiche o ulteriori conflitti. C’è da far quadrato per uscire dalla crisi il più in fretta possibile». Gianfranco Carbonato, presidente dell’Unione industriale, lancia tre parole d’ordine per il rilancio: governance allargata, specializzazione e poli d’eccellenza.
Stupito dalla polemica Università-Politecnico?

«Molto. L’industria e il territorio hanno bisogno di un sistema universitario forte e di eccellenza. La crisi sta facendo traballare i sistemi industriali con caratteristiche più tradizionali e meno tecnologiche. Per questo dico che serve un’università solida e coesa».
Gli atenei sono pronti a questa sfida?

«Il Politecnico ha compiuto molti passi in avanti nell’aprirsi verso il mondo delle imprese e l’internalizzazione. L’Università è più vasta e chiaramente più complicata da gestire. Ed è molto difficile raggiungere l’eccellenza con 70 mila studenti. Le migliori università al mondo sono quelle che fanno più selezione».

Anche le nostre dovrebbero convertirsi a quel modello?
«Devono individuare alcuni poli d’eccellenza e investire con convinzione su quelli, cercando di inserirvi gli studenti migliori. L’università oggi ha due compiti: provvedere a un’alta formazione, che non può che essere di massa; e sviluppare la ricerca, cosa che può avvenire solo in strutture d’élite. Bisogna sapere far convivere questi due elementi».
Come?

«Aprendo gli ambienti universitari a una governance più estesa. Oggi gli atenei sono strutture per lo più autoreferenziali. Dialogano molto al loro interno e poco con l’esterno».
Dove bisogna intervenire?

«Sugli elementi strutturali, innanzitutto. Un esempio: quando si parla di eccellenza io dico che è difficile raggiungerla quando si ha tante sedi».
Gli atenei torinesi ne hanno troppe?

«Sì. Credo abbiano commesso qualche errore in passato. È meglio portare gli studenti all’università che l’università sotto casa degli studenti».
Lei, dunque, è più favorevole al modello dei Campus?

«Senza dubbio. O a un sistema fondato su più Campus accorpati per macroaree, come in parte si è già fatto con le nuove ali del Politecnico e il polo di Grugliasco».
Il rettore Pelizzetti sostiene che avere molte sedi contribuisce ad arricchire il territorio. Non è d’accordo?

«A Torino può avere senso. Ma, ad esempio, mi chiedo perché aprire una sede a Savigliano. O prevedere una facoltà di Scienze politiche ad Asti, o un corso di Ingegneria meccanica a Vercelli. Con tutto il rispetto per queste città. Il problema è accorpare settori simili in un unico luogo, non disperderli. Altrimenti garantire punte d’eccellenza diventa difficile».
Perché?

«Dobbiamo riuscire ad attrarre non solo gli studenti stranieri e i più meritevoli, ma anche docenti di spessore internazionale. E, con tutto il rispetto, mi sembra difficile che un professore di fama internazionale accetti una sede distaccata. Bisogna selezionare, creare grandi poli d’eccellenza con unità orientate su ricerca e innovazione. C’è bisogno di persone di altissimo livello. In un mondo in cui non possiamo più combattere sul fronte dei costi dobbiamo farlo sul versante dei contenuti».
Come ci si arriva?

«Indirizzando gli studenti verso quegli ambiti disciplinari in cui servono laureati. Non sempre avviene. Atenei, istituzioni e imprese dovrebbero compiere un grande sforzo di comunicazione in questo senso».