Sognare, osare e fare, le idee diventano aziende

Gabriele Beccaria su Lastampa.it

Parole d’ordine: «Dream, dare, and do». «Non si deve avere paura di concepire una visione alta delle proprie potenzialità: un problema di molti è che ci si accontenta. Poi si deve osare: maturare un’esperienza imprenditoriale è importante anche
se non si riescono a raggiungere gli obiettivi iniziali. E infine darsi da fare: l’imprenditore non può essere un part-time».
Chi parla è Marco Cantamessa,  presidente di «I3P», la sigla che significa «Incubatore Imprese Innovative »: creato dal Politecnico di Torino – spiega il rettore Francesco Profumo – è il più grande centro italiano per la creazione di nuovi business e sta per compiere 10 anni. Qui il «credit crunch» non si sente e, anzi, le proposte aumentano, favorite – aggiunge Profumo – «dal continuo scambio tra studenti, professori, investitori e industriali».

Professor Cantamessa, quanti bussano alla vostra porta?
«Ogni anno arrivano 150 idee d’impresa: di queste, 50 diventano business plans e, di questo gruppo, una quindicina si trasforma in vera impresa. Esiste un rapporto di 1 a 3 a ogni strozzatura dell’imbuto».

Come funziona la vostra formula?
«E’ duplice. Siamo un incubatore universitario, che si offre come sbocco per ricercatori e studenti del Politecnico, e una sede per chi vuole realizzare una start-up nell’high tech collegata con l’ateneo».

Che differenze ci sono tra un percorso e l’altro?
«Chi proviene dal Politecnico, in genere, ha prodotto un’idea – una tecnologia – di cui non c’è ancora una chiara concezione applicativa. L’Incubatore è pensato per accompagnarli in un lungo processo: dall’identificazione di un mercato a un’impostazione strategica della futura azienda, fino alla formulazione di un business plan».

Poi che cosa succede?
«Li aiutiamo nella costituzione dell’impresa, riempiendo i pezzi che mancano: individuiamo eventuali soci, che forniscano sia i fondi sia le competenze. E’ un’operazione che, scherzosamente, definiamo l’”agenzia matrimoniale”: prepariamo i giusti incontri grazie a un ampio portafoglio di candidati. Anche l’ultima nata – la 100ª azienda – ha visto la luce così: abbiamo fatto “sposare” uno studente di dottorato di metallurgia con un ingegnere gestionale che rientrava dall’estero e voleva rimettersi in gioco come imprenditore ».

E il secondo percorso?
«E’ abbastanza simile, ma cambiano le persone. Si tratta di professionisti più maturi nel business planning, ma che cercano competenze tecnologiche. Così troviamo loro collaboratori o soci dall’accademia ».

Da quando si entra nell’Incubatore a quando nasce l’azienda quanto tempo passa?
«La media è 6-18 mesi».

E a quel punto inizia il percorso di incubazione, giusto?
«Sì. Dura 3 anni, periodo nel quale forniamo consulenze sia direttamente sia attraverso una rete di partner convenzionati».

L’industria si trasferisce da voi?«Sono previste 2 formule, una fisica e una virtuale. Nella prima le aziende risiedono qui nel campus e godono dei servizi della localizzazione. Nella seconda si “decentrano”, per esempio perché hanno bisogno di capannoni industriali, ma i servizi sono gli stessi».

In quanti lavorano in un’azienda-tipo?
«All’inizio ci sono i soci, 3-4 persone. Tendiamo a scoraggiare i “cani sciolti”, ma vogliamo anche evitare le
compagini troppo complicate. Poi un po’ alla volta crescono. Alcune sono diventate realtà significative».

Quali sono i settori più «popolari»?
«Si va dall’aerospaziale all’automazione, dalla scienza dei materiali alle telecomunicazioni. E’ una realtà ampia
e la mancanza di specializzazione, in realtà, è una forza: allarga l’offerta a candidati diversi e si costruisce
un tessuto di imprese complementari».

Può fare qualche esempio?
«Abbiamo un’azienda attiva nel monitoraggio degli incendi boschivi e una specializzata nelle reti wi-fi autoconfigurabili.
Un’altra ancora ha puntato sui controlli delle funi per ascensori e funivie e sta conoscendo un buon successo. Voglio anche citare l’azienda che ha puntato sui sistemi di continuità basati su fuel cells (entrano in funzione istantaneamente
per alimentare i computer in caso di blackout) e quella per il risparmio del calore negli impianti di riscaldamento
condominiali».

I soldi da dove arrivano?
«Da un mix e noi diamo una mano a trovarli. C’è l’“angel investing” dei privati, quando si è nella fase di costituzione
dell’impresa, e poi entrano in scena i “venture capitalists”, nel momento della crescita. Per quanto riguarda i primi, le nostre imprese reperiscono circa un milione di euro ogni anno. Dall’altra parte c’è l’accesso agevolato al credito bancario: le
nostre convenzioni permettono mutui senza garanzie e a tasso agevolato pari a 100 mila euro».

Quasi 10 anni di attività: quanti posti di lavoro sono stati creati?
«Oltre 500 e per la stragrande maggioranza stabili nel tempo. E un altro dato è interessante: hanno richiesto una spesa pubblica piuttosto bassa, inferiore a 10 mila euro per posto di lavoro. Una somma che, con le imposte pagate, rientra velocemente nelle casse dell’erario».

Non sognate di far nascere un colosso, una «Google italiana»?
«Lavoriamo per alzare continuamente il tiro e andare anche in quella direzione. Intanto stiamo creando un ecosistema
che aiuti le start-up e speriamo di avere anche un po’ di fortuna».