Massimiliano Beggio su Lastampa.it
Citano Marx. Chiamano i dipendenti «collaboratori». Finché hanno potuto resistere, non hanno licenziato. E quando si sono dovuti arrendere ai conti in rosso, hanno aiutato i loro lavoratori a trovare una nuova collocazione.
La crisi economica plasma le coscienze e cambia le carte in tavola. Addio lotta di classe, qui è guerra totale. Strani davvero questi quattro imprenditori rinchiusi nell’ufficio di un capannone alle porte di Piobesi Torinese, da ieri in sciopero della fame. «Un tempo si chiamava rischio d’impresa. Oggi è suicidio d’impresa» dice Patrizia Guglielmotto, unica donna del gruppo, al momento. Gli altri sono Aldo Molaro e Fausto Grosso. Ma l’ideatore dell’iniziativa è un vulcanico industriale metalmeccanico: Ezio Raselli. «Nei prossimi giorni – dice – saremo in tanti, perché qui bisogna fare qualcosa. La maggior parte delle aziende è in ginocchio. E cosa fanno le istituzioni? Solo parole. Dicono: faremo, daremo, vedremo. Ma non cambia nulla».
Si apprestano a passare la prima notte. I telefoni squillano, il tam tam si diffonde: giornali, tv, agenzie. Arrivano i delegati di associazioni, i sostenitori di categoria. La lotta è iniziata e non si torna indietro. «Avanti ad oltranza».
Ma questa protesta è l’ultima spiaggia di una rivolta spontanea nata la scorsa primavera a Moretta, in provincia di Cuneo. Quaranta imprenditori hanno dato vita ad un blog che poi si è trasformato in movimento, contando un migliaio di industriali. Si chiamano: «impresecheresistono». Negli ultimi mesi hanno fatto vari pellegrinaggi istituzionali, a denunciare i problemi del settore: mancanza di liquidità, commesse a vuoto, leggi inadeguate. «Quando siamo andati in Regione a proporre le nostre soluzioni – dice Cinzia Merlo, delegata del movimento – ci hanno ascoltato ma hanno detto che non ci sono soldi. Siamo andati al Ministero delle Finanze e la risposta è stata la stessa. A Palazzo Chigi ci siamo sentiti dire che le nostre istanze non erano originali e che la crisi è cosa nota. Ma di soldi nemmeno l’ombra».
Ciò che chiedono qui, a Piobesi, non è molto. Un sistema economico più flessibile, dilazione dei pagamenti, un meccanismo Iva differente, una disciplina dei pagamenti più rigido, sul modello francese. Il movimento ha partorito un decalogo della sopravvivenza, da proporre ai politici. «Oggi, non domani. Altrimenti sarà tardi». Alla protesta della fame aderisce anche l’Arca, l’associazione consulenti aziendali. «Se muoiono loro, moriamo pure noi» dice il presidente Luca Matteja. L’Arca ha presentato in Regione un disegno di legge in collaborazione col movimento degli imprenditori. Un documento anticrisi in 7 punti. Obiettivo: sostenere la liquidità delle aziende con interventi semplici e immediati.
«Ecco – dice Matteja – cosa proponiamo: con 220 milioni di fondi pubblici si potrebbe generare un volano di 2 miliardi e mezzo di euro». Ad esempio: recuperare le risorse spese per gli investimenti, finanziare il pagamento delle tasse nei prossimi tre mesi, sostegno per i dipendenti in cassa integrazione reintegrati in azienda. Basterà uno sciopero della fame per scuotere le istituzioni? «Ormai non abbiamo via d’uscita – afferma Raselli -. Siamo qui per ottenere impegni concreti e rapidi. Altrimenti non ci sarà futuro. Per nessuno».