Via Lastampa.it
Non pensavo di sollevare un simile polverone, però sono contento: quell’articoletto imboscato nella Finanziaria era ignobile». L’ultima beffa per l’Università italiana è nata dal gesto di rabbia di un professore. Un anno fa Girolamo Cotroneo, 74 anni, docente di Storia della Filosofia all’università di Messina, ha ricevuto una lettera dal suo ateneo. «Diceva che il mio periodo di “fuori-ruolo” sarebbe terminato in anticipo. Mi mandavano in pensione. E io ho reagito».
Il fuori ruolo – il triennio aggiuntivo di insegnamento concesso ai docenti di 72 anni – è stato abolito dalla Finanziaria 2007, con effetto retroattivo. Le università nell’ultimo anno hanno così mandato in pensione 1500 docenti tra 72 e 75 anni che avevano già chiesto e ottenuto di mantenere la cattedra per altri tre anni. Tutto bene, finché il professor Cotroneo ha fatto ricorso. «Ero indignato. Andarmene dopo 40 anni, non mi sarebbe costato nulla. Ma non si cambiano le regole in corsa». Si è rivolto al Tar di Catania, che lo scorso autunno gli ha dato ragione rinviando la «leggina» incriminata alla Corte Costituzionale. Centinaia di «baroni» tra 72 e 75 anni hanno fatto altrettanto. E sono stati reintegrati . Adesso anche la Consulta si è pronunciata: la norma è incostituzionale, a quei docenti andava consentito di terminare i loro tre anni di «fuori ruolo».
Succederà anche a Torino: al Politecnico, ma soprattutto all’Università dove, il primo novembre del 2008, 28 docenti sono stati mandati a casa dall’oggi al domani. Tanti hanno seguito l’esempio del professor Cotroneo e si sono rivolti al Tar. Apripista, in realtà, è stato un docente del «Poli», Roberto Pomè, seguito a ruota dai giuristi Sergio Chiarloni e Marino Bin e dal sociologo Guido Sertorio, tutti reintegrati più tardi. Come Giorgio Cerruti di Castiglione e Valeria Ramacciotti, professori di Letteratura Francese a Lingue e l’economista Giorgio Pellicelli.
Un’ondata. Altro che il tanto declamato esodo dei baroni. «Hanno cacciato a pedate nel sedere centinaia di docenti e adesso ne pagano le conseguenze», esulta Antonino Liberatore, presidente dell’Unione sindacale dei professori universitari di ruolo. «La colpa è dei rettori e della loro foga nel ripianare i bilanci in rosso. Hanno fatto pressione sul governo di allora (Prodi, ndr) per mandare in pensione anticipata i docenti, calpestando i loro diritti. Un’azione dissennata». «Era un legge fatta male. A forza di andare avanti per imposizioni succede di emanare norme frettolose che si ritorcono contro chi le ha volute», aggiunge Mimmo Pantaleo, segretario nazionale della Cgil-Flc.
Il paradosso è che gli atenei con le casse vuote, sfruttando una legge dello scorso anno, a ottobre cominceranno a mandare in pensione i professori ordinari a 70 anni anziché a 72. L’obiettivo è duplice: risparmiare e accelerare il ricambio generazionale. L’esodo riguarderà circa 3500 professori tra novembre e il 2009.
A Torino l’Università conta di pensionarne 89 quest’anno e 79 l’anno prossimo, il Politecnico una trentina. Ma, ora che la Consulta si è pronunciata, si dovranno riprendere i 75enni e pagare loro stipendi da 130-140 mila euro l’anno. Alla faccia del ricambio. «Non è ammissibile che una questione così delicata sia risolta nelle aule di tribunale», dice Enrico Decleva, presidente della Conferenza dei rettori. «Servono leggi chiare che mettano gli atenei in condizione di agire al riparo dai ricorsi. Ci sono troppe norme equivoche». Ma il professor Cotroneo non vive di sensi di colpa: «Quella legge era ingiusta. Le regole non si cambiano in corsa».
Potrebbe non essere finita. Davanti alla Corte pendono altre sentenze dei Tar italiani, che hanno reintegrato i docenti che avevano chiesto di accedere al fuori ruolo spiegando che la loro esperienza e chiara fama andavano tutelate. Se la Corte dovesse avallare anche questa impostazione per gli atenei sarebbero altri 1500 docenti over 70 sul groppone, e a Torino una quarantina tra Università e Politecnico.