Podcast batte prof, 71 a 62. Non sarà una partita giocata in un’università pubblica che sta vicino alle cascate del Niagara a decidere il futuro dell’istruzione, ma l’indizio non è trascurabile. E dice che, quando è usata bene, la tecnologia funziona meglio dell’uomo nel far entrare nozioni complesse nelle teste degli studenti. Invece di rimpiangere i bei tempi andati del chalk and talk, gessetto e discorso, i docenti farebbero bene a imparare ad adoperare un registratore digitale. Perché la rivoluzione (dell’accademia) non sarà trasmessa in tv, ma non è da escludere che sia scaricabile.
L’antefatto, per cominciare. Dani McKinney, professoressa di psicologia alla State University di New York a Fredonia, studia da tempo le potenzialità della tecnologia a fini didattici. Decide quindi di usare i propri studenti come cavie. Metà della sua classe di 64 ragazzi seguirà una parte del corso in aula con lei, modalità classica. L’altra metà ascoltando una versione audio con tanto di slides da riprodurre, quanto e quando vorranno, su un qualsiasi lettore multimediale. Il test premia nettamente i secondi che, in media, prendono voti 9 punti più alti. La docente racconta l’esperienza nella rivista scientifica Computers&Education in un articolo dalla titolazione sapiente: “L’università di iTunes e la classe: possono i podcast rimpiazzare i professori?”. La docente è la prima a non crederci. Spiega che il trucco sta non nel podcast in sé ma in come lo si usa: “Chi lo ascolta una volta sola non ha fatto meglio di chi è venuto in aula. Mentre chi l’ha trattato come una vera lezione, prendendo appunti o risentendo alcune parti, ha avuto risultati assai migliori”. Per non dire della location e della disposizione d’animo: correndo e sudando sul tapis roulant il miracolo non avviene. Se invece pigi sette replay in biblioteca è molto probabile di sì.