Tutti in strada a protestare, in un lungo corteo da piazza Vittorio a piazza Castello composto da mille persone. Ancora una manifestazione contro la crisi. Non la solita, però. Nessuna tuta blu, né colletto bianco. Al massimo una polo o una camicia a quadri. Niente bandiere di sindacati o partiti.
Solo tre striscioni con su scritto: “Imprese che resistono”. Perché questa volta in piazza non ci sono scesi gli operai, ma direttamente gli imprenditori e le imprenditrici. Tutto è nato quasi per caso. Un gruppetto di aziende del Cuneese ha messo su un blog (blog. libero. it/pmicheresistono), è scattato il tam-tam, si sono tenute riunioni via via più partecipate, fino alla decisione: serve una protesta di piazza. Così Impresecheresistono, gruppo spontaneo di Pmi del Piemonte e del Nordovest, ieri ha sfilato per le vie di Torino. Un migliaio di uomini d´azienda messi alle corde dalla crisi economica ed esasperati dalle troppe cose che non vanno. Niente slogan o fischietti, ma un silenzio da marcia funebre. C´è anche qualche operaio, perché in fondo «soprattutto in aziende piccole come le nostre siamo tutti nella stessa barca». In testa al corteo c´è Luca Peotta, portavoce e ideatore del gruppo: «Siamo in mille, con 20 dipendenti a testa rappresentiamo 20 mila famiglie: in pratica siamo una Fiat». E in piazza Vittorio c´è solo una parte di chi ha aderito: «Alcuni non sono venuti, avevano paura di esporsi», aggiunge Peotta.
Esporsi nei confronti di chi? Del Lingotto per esempio, che non salda le fatture. Qualcuno l´ha scritto in un cartello: “Fiat non paga e fa cassa con i nostri crediti”. A portarlo è Marco Ramasso, socio di una piccola agenzia di una multinazionale che fornisce strumentazione di misura alla casa torinese: «Solo da loro – osserva – sto aspettando due milioni di euro. Quando chiamo l´ufficio acquisti o non mi rispondono o mi dicono che non dipende da loro ma dall´alto». Ma il problema è generalizzato: «È dall´inizio dell´anno che non c´è lavoro. E quel poco che c´è te lo pagano a 180 giorni», dice Smeralda. Ma al suo fianco una collega la corregge: «Sì, 180 giorni a essere ottimisti…». La filiera si è inceppata, la liquidità non riesce più a scorrere fino ai contoterzisti: «I clienti ti chiedono sconti dal 10 al 40 per cento sugli ordini, diminuzioni insostenibili», fa notare Fausto Corda, titolare di una ditta di Alpignano. Per non parlare degli istituti di credito. Giuseppe Anderlini è venuto dalla Lombardia, da Settimo Milanese, per far sentire la sua voce: «Non ho problemi con le banche, ma i miei clienti sì: sono sottocapitalizzati e gli istituti non vogliono rischiare».
Ce l’hanno anche col Governo. La Tremonti-ter non basta: «È già qualcosa, ma è troppo poco», sostiene Bartolomeo Gattino, titolare di un´azienda di 20 dipendenti a Santena. Anche perché, fa notare l´imprenditore, «gli investimenti li fai quando il fatturato te lo permette, mentre quello delle nostre imprese è colato a picco». Ora l´incubo sono le tasse: «Bisogna pagarle, ma con che soldi?», si chiede Monica Cravero, che ha una ditta metalmeccanica da 50 dipendenti. E aggiunge: «Per non parlare dell´Iva, che va pagata prima di svolgere i lavori». Il corteo sfila e dei rappresentanti delle associazioni di categoria non c´è traccia: «Ha aderito solo l´Api, le altre ci hanno detto che era inutile», spiega Giovanni Gai, proprietario di un´azienda di Villarbasse.
Che taglia corto: «Vorrà dire che quando si tratterà di rinnovare l´iscrizione ci penseremo bene». Alla fine della marcia gli imprenditori arrivano in piazza Castello e una loro delegazione viene accolta nel palazzo della Regione. Ad accoglierla ci sono la presidente Mercedes Bresso e l´assessore all´Industria Andrea Bairati. Le “Imprese che resistono” mettono sul piatto le loro idee, un pacchetto pieno di misure come la riduzione temporanea dell´Irap, l´abolizione dell´anticipo delle imposte, lo spostamento delle scadenze di mutui e leasing per 12 giorni. La Regione ascolta, ma scuote il capo: tutte questioni romane. Luca Peotta non si perde d´animo: «Ci stiamo organizzando. Nei prossimi giorni andremo a Roma, sotto palazzo Chigi, per far sentire al Governo le nostre ragioni».