Franco Locatelli sul Sole 24 Ore
Uno studio, fresco di stampa, di due economisti dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Cnr, Daniele Archibugi e Andrea Filippetti, che hanno rielaborato tutti i risultati della recentissima indagine Innobarometer condotta dalla Commissione europea su 5.238 imprese (di cui 200 in Italia), aiuta a fare luce sui rapporti tra crisi e innovazione e spegne le illusioni di quegli studiosi che sostenevano che, sul piano puramente teorico, la crisi economica potesse favorire l’innovazione più dei periodi di stabilità o di crescita.
Le cifre non sembrano lasciare molto spazio ai dubbi, anche se la metodologia dell’indagine europea su cui si basa anche lo studio dell’Irpps-Cnr non consente di distinguere la diversa intensità degli investimenti in innovazione delle imprese. In questo campo l’impatto della crisi si sta, in ogni caso, rivelando più profondo del previsto.
Se si pongono a confronto i comportamenti attuali delle imprese con quelli del triennio 2006-2008 emerge che nel 2009 la percentuale di imprese europee che ha aumentato gli investimenti in innovazione è precipitata dal 40,2 al 10,6% e che quelle che invece li hanno tagliati sono salite dal 10,8% al 26,7% mentre le aziende che hanno mantenuto gli investimenti in innovazione sono cresciute dal 50 al 60 per cento. In altre parole, oggi in Europa le imprese che tagliano investimenti in innovazione superano di 16 punti quelle che li aumentano.La fotografia degli effetti della crisi sugli investimenti in R&S è ancora più chiara se ci si concentra sugli ultimi sei mesi e se si osserva il comportamento delle imprese italiane rispetto alla concorrenza europea. Sul piano continentale le conclusioni a cui arriva lo studio del Cnr per i primi sei mesi del 2009 sono queste: il 9,8% delle 5.238 imprese del campione europeo ha incrementato gli investimenti in innovazione, il 24,7% li ha ridotti e il 65,4% li ha mantenuti stabili.
Quelle che hanno tagliato di più sono le imprese dell’Est Europa, dove i finanziamenti esteri e gli afflussi di capitali dall’estero sono stati falcidiati dalla crisi. Nella recessione le imprese italiane tagliano gli investimenti in innovazione più dell’Europa, fanno meglio della Francia, si comportano all’incirca come la Spagna ma perdono nettamente terreno rispetto alle aziende tedesche.Nella prima parte del 2009 il 65% delle nostre imprese ha mantenuto invariati gli investimenti in innovazione ma la percentuale di quelle che li hanno ridotti (26,1%) è più alta della media europea (24,7%), mentre più bassa (8,9% in Italia contro il 9,8% dei 27 Paesi dell’Unione) è la percentuale di quelle che li hanno incrementati. In termini assoluti, e limitatamente agli investimenti in innovazione, la performance delle imprese italiane nella crisi non è drammatica ma, purtroppo per noi, gli elementi che contano sono due: il confronto con i nostri diretti concorrenti e il rapporto tra ciò che stiamo facendo e il gap di capacità innovativa che come sistema-paese ci portiamo dietro da tempo.
In termini assoluti le imprese italiane – e questo è significativo – non hanno chiuso del tutto i rubinetti dell’innovazione anche durante la crisi, ma se noi camminiamo gli altri corrono e questo vale soprattutto per le imprese tedesche, per non dire di quelle austriache, svizzere e scandinave. In secondo luogo la crisi rischia di vanificare i timidi passi avanti che, come sistema-Paese, avevamo fatto negli ultimi anni sul piano dell’innovazione. Se poi si considera che la capacità innovativa di un Paese non si migliora a colpi di bacchetta magica ma richiede politiche di lungo periodo, la fotografia che emerge dallo studio del Cnr non può non preoccupare.