Da pochi giorni Torino non è più Capitale del Design. A due anni di distanza delle Olimpiadi e con qualche mese di anticipo rispetto a Torino-Capitale della Scienza. Senza dimenticare il cinema, l’enogastronomia, la città magica, i Savoia e via dicendo. Insomma, tanta roba, per una città che negli anni ha lavorato sodo per diventare un marchio riconoscibile nel mondo. Un brand, come si direbbe nel mondo del marketing. Quel meccanismo (solo apparentemente semplice) che permette importanti ritorni di immagine, ma anche economici sotto molteplici punti di vista. Ma ora che molta più gente al mondo saprebbe indicare la posizione di Torino su una cartina muta, il gioco è fatto? Sembrerebbe di no
Parola di esperto. Esperto come Silvio Saffìrio, noto pubblicitario torinese che vanta una lunga e brillante carriera nel mondo della comunicazione, «Sgombriamo innanzitutto il campo e diciamo che parlare di “brand” per una città non è assolutamente scorretto. Anzi, è forse inusuale, ma attuale. E funziona benissimo se si tratta di promozione di un territorio con le sue tradizioni, la sua storia e le sue peculiarità. Basta pensare a esempi come le Langhe. il Chianti o le Dolomiti. E vale anche per le città. Da Milano, considerata la capitale, forse adesso un po’ appannata, della moda a Firenze, con i Medici e il Rinascimento. Oppure Roma, con il Papato e la Dolce vita». Insomma, siamo in bella compagnia. «Merito di chi si e impegnato negli anni passati, alcuni anche rimanendo nell’anonimato, per superare la “sindrome di Detroit” (la città dell’auto per eccellenza, negli Usa, ndr) e sfruttare la grande occasione dei Giochi Olimpici Invernali».
Ma c’è un però. Che non è nemmeno tanto marginale. E che potrebbe avere ripercussioni importanti sul futuro della nostra città. «Torino ha un problema serio, adesso – dice Saffirio – perché ha in sé troppe caratteristiche. Diventa difficile focalizzare. Basta pensare ai Savoia, Ma anche alla magia, all’arte contemporanea. E poi il cinema, la buona tavola. E tanto altro ancora, compresa la via dello sport, che dopo i Giochi è stata parecchio sfruttata. Insomma, un rosario di cose che fanno però fatica a stare insieme». A voler «dire» troppe cose tutte insieme, si rischia il disordine comunicativo. «È difficile trovare un valore trainante attorno al quale far agglomerare gli altri. Ecco perché, nel mondo della pubblicità, esiste lo “strategic planner”, che fa delle ipotesi sulle identità del marchio da promuovere». Continuando nella metafora, insomma, Torino ha fatto molto per migliorare se stessa. Ma non basta. «Ha lucidato la tanta argenteria di qualità che possiede.