In principio furono i corsi del Consorzio Nettuno: andavano in onda nel cuore della notte sulle reti televisive nazionali, con riprese a camera fissa, ed offrivano lezioni di materie scientifiche svariate sotto la guida di docenti dall’aria arcigna, e spesso un po’ grigia. Eravamo negli anni Ottanta, allora, e nella maggior parte delle case non c’erano personal computer né portatili né, tantomeno, internet. Le università erano le Università, e parlare di “formazione a distanza” appariva ancora come un divertimento per intenditori, o una semplice provocazione.
Da allora, però, molte cose sono cambiate. Le università si sono trasformate, esplorando nuove modalità educative e diversificando la propria offerta didattica; nuovi attori si sono affacciati sul mercato della formazione, facendo una concorrenza spesso serrata alle istituzioni tradizionali. Ma, soprattutto, l’innovazione tecnologica ha stravolto gli schemi educativi più consolidati, moltiplicando gli strumenti e le possibilità a disposizione di docenti e discenti: la formazione a distanza (FAD), fusa e disciolta nel frattempo nel più moderno “elearning”, è divenuta realtà, ed oggi costituisce un dato acquisito a (quasi) tutte le latitudini.
Ai giorni nostri, allora, è normale trovare online i materiali didattici di istituzioni accademiche come il MIT di Boston o l’Università di Berkeley, e non appare strano che i docenti invitino i propri studenti a imparare la scrittura attraverso i blog, o a risolvere collaborativamente i quesiti attraverso wiki. Allo stesso modo, non desta meraviglia che grandi player tecnologici come IBM e Google investano robustamente in progetti didattici congiunti con le università o commissionino loro il design e lo sviluppo di piattaforme e-learning integrate.