Lo startupper torinese di 60 anni che salverà la nostra privacy. Intervista a Pietro di eMemory

Pietro di ememory

Si chiama Pietro Jarre e ha fondato eMemory. Puoi visitare il sito e iscriverti gratis, per iniziare a salvare la tua vita in digitale. Sono quasi andato in collina, per capire di cosa parliamo quando si parla di eMemory

eMemory è una start up di Torino che si occupa di storie e documenti personali ed è una dei primi esponenti del nascente “slow web”. La sua missione è quella di sensibilizzare le persone su temi come “privacy”, “confidenzialità delle informazioni”, “segretezza”, “memoria biografica”. Lo fa dando agli utenti uno spazio sicuro e segreto per immagazzinare ogni tipo di file, pensiero o stato d’animo. Ogni spazio eMemory è strettamente legato al proprio user e, in caso di morte, i contenuti vengono ereditati dagli eredi secondo le volontà del defunto, rendendo praticabile il concetto di “eredità digitale”.

In Corso Quintino Sella mi hanno aperto, mi hanno stretto forte la mano e mi hanno fatto accomodare. In quattro anni nel mondo delle start up, questa è una delle più bizzarre, singolari, dirompenti che ho avuto la ventura di incontrare. Una forbice di una quarantina d’anni abbraccia le età dei soci fondatori. Alessandro e Alberto sono quelli giovani. Sono informatici, scherzano e ridono quando si parla, non solo di eMemory. Rimane sempre serio invece Pietro Jarre, il sessantenne fondatore e ideatore di eMemory. Con decisione e fermezza nella voce mi dice che il mondo si sta dimenticando. Non specifica “che cosa”, il mondo stia dimenticando, si limita a dirmi che le persone non hanno più memoria di nulla. Dimenticano. “E dimenticare è quanto più pericoloso e dannoso possa esserci per l’uomo” tuona. Mi fanno riflettere queste sue parole. Così chiedo se possiamo continuare a chiacchierare di cosa voglia dire dimenticare e ricordare nell’era dei dati e del digitale. I giovani ragazzi sono tornati a battere rapidi sulle loro tastiere. Pietro mi invita nel suo ufficio e mi fa accomodare di nuovo.
Il sole alto si riflette sulle acque del Po e dalla finestra il cielo colora di azzurro il piano di vetro del tavolo. Pietro si versa un bicchiere d’acqua e ne versa uno anche a me.

ememory

Gli chiedo come gli sia venuto in mente di occuparsi di digitale e di privacy nonostante la sua generazione sia lontana da ciò che nella mia testa è un tipico utente digitale.

Non è vero che siamo lontani dall’internet. Internet è stato inventato e pensato dalla mia generazione, è il prodotto di una cultura, di un’eredità politico e sociale che anelava alla globalizzazione ed alla fine dei confini, è figlio della originaria volontà di mettere le informazioni in rete. Noi la politica la facevamo attivamente dal basso. Combattevamo per le cose che volevamo. E sai perché? Perché avevamo, abbiamo, memoria di noi stessi, o forse abbiamo memoria perché partecipavamo? Voi giovani quanta memoria di voi stessi avete?

Pensi che i giovani facciano fatica a sviluppare una memoria di se stessi e del mondo

Vivete in un mondo connesso nello spazio e poco nel pensiero. Avete più input voi in 20 minuti di navigazione di quanti ne abbia avuti un vostro nonno in 20 anni di vita. Siete costretti a ingurgitare informazioni di ogni tipo, in continuazione. Eppure, nonostante ciò, non avete memoria. Non sapete chi siete perché non ricordate chi siete stati e pare – vi si dice che – non ve ne curiate, ma io non ci credo. Non sapete dove siete, perché non vi ricordate (o immaginate) come fosse prima che ci foste voi, perché nessuno si è premurato di insegnarvi l’importanza di queste cose. Il vostro approccio all’informazione è bulimico.

Bulimico?

Sì, bulimico, colmo di ansia per la quantità, per il timore di perdersi qualcosa.  Ecco, navigo per non ricordare nulla di quello che ho visto ma, paradossalmente, solo per ricordare di averlo visto? Non a caso i surfer si chiamano così, perchè si naviga, non ci si immerge ma si scivola sulla  superficie. Siamo soliti dire “ci sono stato”, quando in realtà non sappiamo, né ricordiamo o riflettiamo su cosa abbiamo percepito. Ci informiamo, insomma, senza conoscere.

Quindi, praticamente, mi stai dicendo che stiamo tutto il giorno a guardare post, leggere articoli, assistere a contenuti audio visivi, eppure non abbiamo idea di quello che stiamo facendo, mentre lo facciamo?

Un poco è così sia chiaro che non si tratta di una accusa, bensì di una osservazione. Non c’è più coscienza rispetto a ciò che ci accade intorno. Non abbiamo nemmeno più coscienza di noi stessi. Siamo tutti presi dalla spettacolarizzazione della società e quindi anche della nostra persona, tutto deve essere netto e immediato : mi piace o non mi piace; stupendo o fa schifo. Tutto diventa in breve tempo miserabile. Il problema consiste nel fatto che questi parametri non vengono scelti dal basso ma imposti dall’alto. Ai miei tempi spesso eravano conformisti in politica, schifo e stupendo erano i nostri due estremi. Adesso i giovani hanno il like o il nulla. O metti mi piace o non fai nulla. Sempre di moda e di ideologia si parla. Ma pericolosa.

E non pensi che possa sorgere una nuova cultura ex novo, proprio a partire da questa amnesia digitale delle masse?

L’amnesia non mi pare possa far sorgere una cultura progressiva. Cultura? Si, ma quella delle invasioni barbariche. Questo “digitale”, fatto dalle aziende private, dalle multinazionali americane e dall’isteria della pubblicità, non vuole processi lenti e solidi. Vuole ciò che è veloce e senza sforzo. Per fare cultura, ci vuole appunto memoria. In questo caso ci vuole una reale memoria digitale a complemento di quella fisica fatta di odori, rumori, ruvidezze.

eMemory ricordi

La società delle reti dimostra che però possono sorgere delle realtà culturali dalla semplice sinergia di contenuti, persone, utenti. Wikipedia è un esempio, no?

Mah. Il progetto Wikipedia partiva da presupposti nobili. Gli utenti di wikipedia non si sono limitati a mettersi in rete, non hanno solo collegato i puntini. Hanno anche colorato gli spazi in mezzo. Non hanno navigato e basta. Si sono immersi, hanno approfondito. E infatti hanno memoria di ciò che fanno. Motivo per il quale wikipedia è un esempio partito bene, che purtroppo rischia di essere oggi uno delle pochissime fonti di conoscenza attivamente consultate. Dobbiamo ricordare infatti che Wikipedia, come Google, non sono altro che strutture (umane o subumane) che di fatto filtrano l’informazione secondo dei parametri dettati dalle strategie aziendali o dai regolamenti della comunità operativa. Come una libreria non può rappresentare la complessità della conoscenza se presenta al suo interno solo due libri, così è impossibile che sorga una cultura digitale se le premesse non cambiano. Ma qualcosa sta cambiando, ho fiducia nell’intelligenza e nella sensibilità delle nuove generazioni.

Praticamente il problema degli altri siti è che sono apertamente a scopo di lucro e quindi la missione sociale cede il passo al fatturato

Esatto. Non è in fondo tanto difficile da capire e immaginare. Facebook dice di essere una rete sociale che connette le persone fra di loro.

Ma non è vero. Facebook connette le persone a Facebook, cercando di aumentare il margine di guadagno sulle inserzioni pubblicitarie. Questo non ha nulla di culturale o sociale. Soprattutto quando si spaccia un servizio come gratuito, quando, in realtà, gratis non è. Gli utenti non pagano Facebook perché la contropartita che Facebook pretende è la governance sulla nostra privacy e sui nostri dati.

 

Quindi, insomma, Facebook e gli altri social network cosa sono per noi? Perché hanno penetrato così facilmente le nostre abitudini e le nostre vite?

Sono feticci, simulacri di inter-soggettività. Pensiamo di aver sconfitto la solitudine con questi mezzi digitali. L’ansia da smartphone è uno dei sintomi di questa problematica emotiva. Per sentirci meno soli controlliamo se è arrivata una notifica da Whatsapp o Facebook; scorriamo le vite degli altri guardando foto, leggendo post, senza in realtà conoscere mai davvero quella vita. Non c’è più empatia nel guardarci, c’è solo curiosità data appunto da questa continua spettacolarizzazione. Sto su FB per rappresentarmi bello. Lì sono bello. In realtà non lo sono poi tanto, e allora? Corro da FB, lì sono bello, nessuno mi tocca e mi scopre. Il gap tra rappresentazione e realtà crea frustrazione, che leniamo ricorrendo a dosi più alte, ed ecco che siamo dipendenti. L’alcol non agisce in modo tanto diverso, mi pare…

E perché pensi che eMemory possa aiutare le persone a combattere queste tendenze?

Sì, onestamente, penso che possiamo combattere queste tendenze. Vogliamo creare uno spazio calmo (lontano dal rumore della falsa piazza digitale) per lavorare sui dati trasformandoli in conoscenza. E che diventino saggezza. Perché le funzionalità e l’uso di eMemory spingono alla riflessione, non inducono alla competizione. Su eMemory la navigazione è slow, ci si immerge, quanto meno in se stessi.

Insomma, eMemory è qui per salvarci dall’apocalisse delle STORIE: storie-su-facebook-storie-su-instagram-storie-su-whatsapp-storie-ovunque! Ci salverete?

Penso che la nostra startup sia un’importante opportunità per il mondo del digitale. Innanzitutto siamo un team eterogeneo, questo non è tanto comune nel mondo delle start up. Nell’altra stanza ci sono Alessandro e Alberto che hanno l’entusiasmo e la visione di giovani intraprendenti. Qui ci sono io, quasi vecchio e, oltre che una discreta esperienza imprenditoriale e manageriale, ho memoria di come si imparava e come si acquisiva consapevolezza. Penso sia importante trasmettere questo valore alle generazioni presenti e future: ognuno ha pieno diritto di proteggere le proprie informazioni confidenziali; allo stesso tempo ognuno avrebbe il dovere di tramandare quelle informazioni che sono importanti In ciò siamo umani: sogniamo e raccontiamo, ci prepariamo al futuro, al peggio e al meglio, grazie al racconto. Chi più racconta, meglio vive e sopravvive alle calamità.

Come pensate di perseguire e, speriamo, raggiungere questo obiettivo?

Fornendo alle persone (perché per noi sono persone, vite, non utenti) uno spazio calmo, e con i sevizi di storage per pensieri, stati d’animo ed informazioni. Anche un sistema per l’eredità digitale e sevizi di supporto e di consulenza – con specialisti e comunità di esperienza – per aiutarti a capire cosa e come vuoi ricordare. Puoi archiviare le ricette della nonna, puoi stampare alcune delle belle foto dei tuoi figli, corredandole ed insaporendole con le informazioni che ne fanno una storia. I dati da soli sono cosa povera.  Senza profilazioni, senza advertising, senza spettacolarizzazione. Uno spazio individuale in cui si possono postare cose non per essere applauditi (o likati), bensì per conservarne la memoria, trarne piacere e consapevolezza, per sapere chi siamo preparandoci a fare delle scelte per diventare grandi da indipendenti. Ed eMemory attira infatti molto i giovani, affamati di storie e di comportamenti intelligenti. Per il successo dello slow web bastano poch. Un diario 2.0, uno scrigno segreto, di ispirazione digitale. eMemory ci aiuterà a ricordarci di noi stessi, dandoci un luogo dove riflettere e dove raccontare noi stessi.

 

Visita il sito e iscriviti gratis a eMemory e inizia a salvare la tua vita e i tuoi ricordi in digitale, in maniera sicura e consapevole.

 

Autore: Federico Bottino

Classe '92. Creative writer. Nel 2015 ho fondato Yeerida in cui ricopro il ruolo di CEO.