Di Elena Dresti
Qui per scaricare l’ebook completo della storia
Dopo mesi contraddistinti da una crescente e virulenta campagna diffamatoria, il Governo fascista stabiliva, con il Decreto legge n. 1381 del 7 settembre 1938 (entrato in vigore il 12 settembre) che entro il 12 marzo 1939, tutti gli ebrei stranieri, circa cinquemila, salvo poche eccezioni, avrebbero dovuto lasciare l’Italia.
Meno conosciute, anche agli ebrei stessi, erano invece le modalità di attuazione.
Il Governo lasciava libertà ai singoli individui di scegliere la soluzione di trasferimento ritenuta più adatta, ma per tutti, l’incognita principale era rappresentata dalla scelta del nuovo paese da raggiungere.
Tra l’estate del 1938 ed i primi del 1939, di fronte all’espulsione dalle scuole, alla cacciata degli ebrei stranieri, alla proibizione dei matrimoni misti, alla schedatura, alla perdita del lavoro negli uffici pubblici, all’allontanamento dall’esercito, la prima reazione degli israeliti della provincia di Cuneo fu di smarrimento e di incredulità.
La pressione psicologica esercitata dal Governo produsse i suoi effetti e, circa la metà degli ebrei stranieri residenti, lasciarono il paese prima della scadenza fissata. Allo scopo di facilitare l’esodo il Ministero dell’interno, nel gennaio e nell’aprile ‘39, aveva impartito lo opportune istruzioni ai prefetti. I problemi incontrati dagli ebrei erano notevoli, legati soprattutto alla difficoltà di ottenere i visti d’ingresso inoltre, le richieste di proroga al provvedimento di espulsione passavano attraverso numerosi ministeri e richiedevano mesi prima di essere evase.
Pertanto il regime, allo scopo di superare le difficoltà, nel gennaio 1939, aveva prospettato agli ebrei stranieri due soluzioni. La prima era il rimpatrio nei loro paesi di provenienza, soluzione sgradita non solo agli ebrei stessi ma anche ai nazisti. La seconda consisteva nell’allontanamento verso la Francia, soluzione che risultava più gradita e praticabile. Infatti per gli ebrei la Francia era considerata la nazione della rivoluzione francese e dell’emancipazione, la patria dei diritti di eguaglianza, di libertà, di fraternità e considerata una “Terra Promessa” da chi non si rassegnava all’idea che, nel 1939, terre promesse non ne esistessero più per nessuno.
Agli ebrei gli affari non andavano bene a causa delle ostilità di molti e delle richieste di denaro da parte di delinquenti che adesso potevano agire impunemente su persone non più protette dalla legge. La situazione per loro andava via via peggiorando. Il clima era di forte ostilità. Ora sempre più spesso sui giornali comparivano articoli che mettevano in cattiva luce gli ebrei, descrivendoli come essere avidi, ripugnanti, ricchi, traditori e dove venivano indicati con il nome dispregiativo di “giudei”. Gli altri li guardavano o li consideravano come degli appestati o dei criminali. Le autorità che scoprivano la presenza di ebrei in zona di guerra decretavano che dovevano andarsene e alla svelta. Infatti i giorni per l’evacuazione erano pochi. Gli ebrei avevano paura e non uscivano quasi più di casa. Per molte famiglie il problema era la sopravvivenza e quindi si presentava ancora più di prima l’urgenza di fuggire.
Il prefetto e le forze di polizia dovevano gestire gli allontanamenti: l’obbiettivo da raggiungere giustificava i metodi che sarebbero stati impiegati. Furono queste le vere motivazioni di un esodo che nella sua evoluzione si sarebbe sviluppato, nell’arco di due anni, per vie terrestri e marittime, dalla Riviera Ligure verso la Costa Azzurra.
Risulta che, nel febbraio 1939, un mese prima del previsto esodo di massa, 500 ebrei avevano già raggiunto la città francese. Le autorità francesi erano molto preoccupate dell’esodo in corso. Il 21 febbraio 1939, il Ministero dell’interno inviava un telegramma al prefetto di Nizza nel quale ordinava alle gendarmerie di Breil e di Mentone di esercitare una vigilanza particolare e di fare controlli molto stretti. Inoltre le stesse dovevano respingere immediatamente e impietosamente i clandestini, sorpresi senza passaporto o sprovvisti di visto consolare francese.
Gli ebrei erano ovviamente tenuti all’oscuro del fatto che i sentieri, che si apprestavano a percorrere, erano strettamente sorvegliati dal lato francese, ragion per cui era inevitabile cadere nella rete della polizia. In alcuni casi iniziava per loro una tragica odissea, poiché la polizia francese, dopo averli identificati e in qualche caso rifocillati, li rispediva in Italia. Quindi l’espulsione era di conseguenza la regola quasi assoluta ma gli ebrei, nonostante tutto, tentavano di introdursi nuovamente nel paese francese, lungo la frontiera. Giunti ancora ai posti di confine italiani, l’accoglienza non era la stessa che avevano ricevuto in precedenza. Infatti la milizia maltrattava e picchiava gli ebrei respinti rispedendoli, per lo stesso sentiero o per un altro alternativo, nuovamente verso la frontiera francese.
Questi estenuanti rimbalzi da una parte all’altra del confine, attraverso diversi percorsi, potevano ripetersi in alcuni casi quattro o cinque volte. Agli ebrei percossi, smarriti ed esausti, capitava di restare in quella “terra di nessuno”, tra i due posti fissi, anche per giorni, bevendo a qualche rara fonte incontrata lungo il percorso nutrendosi di bacche o altri frutti, riposando e dormendo in qualche casolare abbandonato, nell’attesa del momento opportuno per tentare nuovamente la sorte. In qualche caso le guardie francesi impietosite dalla condizione in cui versavano o, impossibilitate a respingere nuovamente i clandestini a causa della strettissima sorveglianza delle guardie confinarie italiane, li conducevano a Nizza mettendoli a disposizione dell’autorità giudiziaria. Qualcuno in preda a un profondo sconforto riuscì a farsi arrestare minacciando di lanciarsi nel vuoto.
A partire dal luglio 1939 le vie terrestri persero il ruolo fondamentale che avevano fino ad allora ricoperto e diverse furono le condizioni che ne provocarono il declino. Fino a quella data, non erano ancora operative le “agenzie marittime” che avrebbero gestito i trasporti via mare e trasportato un numero molto elevato di clandestini. L’arrivo in massa degli ebrei, a partire dal luglio, portò un cambiamento nella composizione dei gruppi di profughi. Se prima di quella data i singoli erano la maggioranza, si assiste in seguito all’arrivo sempre più frequente di interi nuclei familiari, in qualche caso con bambini e spesso con persone anziane. Per loro la scelta più ovvia, perché meno faticosa, era quella via mare.
Ma quantificare il numero di coloro che scelsero di emigrare in Francia, risulta assai arduo. Per quanto riguarda le vie terrestri usate, nonostante fossero infinite, alcune forse mai scoperte, si può affermare che la stima di 1500 persone è da considerarsi realistica. Invece l’esodo via mare, di persone trasportate nella clandestinità più assoluta, potrebbe essere pari, se non superiore, a quelli che hanno lasciato traccia del loro passaggio e di conseguenza si può ipotizzare che si tratti di almeno 2000 persone. Naturalmente non mancò, per entrambe le vie, il guazzabuglio di spregiudicati imprenditori, che si attrezzarono e crearono un efficiente servizio di passaggi transfrontalieri, lucrandoci sopra con la benedizione del prefetto e delle autorità della capitale.
Per tutti gli ebrei stranieri, che avevano raggiunto alla fine degli anni ‘30 clandestinamente Nizza, era stato creato il Comité d’Assistances aux Refugies (CAR), fondato con l’obiettivo di aiutarli a regolare la loro posizione nei confronti dell’autorità francese. Questo organismo era finanziato dal Comité d’Assistances di Parigi e da contribuzioni volontarie da parte delle famiglie ebree benestanti della città.
Subito dopo la creazione del CAR, era stata aperta in Rue Beaumont una mensa che serviva regolarmente, due volte al giorno, pasti frugali. Si calcola che nel 1939 questa struttura doveva fornire 1000 pasti al giorno. Naturalmente all’interno della mensa si vivevano drammi umani e di disperazione. In quell’umile e decoroso luogo, si ritrovavano seduti allo stesso tavolo, nella miseria più completa, contadini e operai cecoslovacchi, artisti e celebrità berlinesi che negli anni precedenti erano stati applauditi e osannati in patria.
La situazione per una parte degli esuli giunti dalla Riviera ligure, nel periodo che si colloca tra il loro arrivo in Francia e l’inizio degli arresti e delle deportazioni nell’estate 1942, sotto il regime collaborazionista di Vichy, fu addirittura peggiore. Infatti allo scoppio della guerra con la Germania, il 4 settembre 1939, tutti i cittadini di nazionalità tedesca, considerati appartenenti a nazioni nemiche, ebrei e non, di sesso maschile e di età compresa tra 17 e 50 anni, furono internati, per quanto riguarda il Dipartimento della Alpi Marittime, nel Fort Carrè di Antibes, assieme ai cittadini ex austriaci e cecoslovacchi. La gran parte degli internati di Antibes fu trasferita, nell’autunno e nell’inverno 1939, al camp des Milles in Provenza, dove le condizioni di vita erano primitive e i servizi igienici assolutamente insufficienti e inoltre vi regnava il più grande disordine amministrativo.
Al campo di Vernet, nel dipartimento dell’Ariege, classificato come repressivo, furono internati tutti gli esuli tedeschi potenzialmente pericolosi per la sicurezza nazionale. I tedeschi e gli austriaci, classificati come meno sospetti, furono avviati verso i campi di internamento della regione: questi erano spesso installati in fattorie abbandonate, fabbriche dismesse, qualche volta in tende da circo requisite per l’occasione. Le condizioni igieniche erano ovunque insufficienti, la vita era pericolosa e i rifornimenti ai prigionieri, così come il denaro e pacchi dall’esterno, erano difficili da far pervenire.
A partire dal 1941, un certo numero di ebrei fu destinato alle cosiddette residences assignè ovvero erano obbligati a risiedere in modo coatto, in alcuni piccoli villaggi, situati nei dintorni di Nizza, quali Levens, Sospel (dove esisteva un piccolo campo di internamento), Puget – Theniers, Guilliaumes e Villars su Var.
Sempre sotto il regime di Vichy, nel 1942, numerosi ebrei furono trasferiti per mezzo convogli ferroviari, al campo di Gurs nei Pirenei, definito come semirepressivo. Nello stesso periodo, vi furono quattro convogli che raggiunsero il campo di Rivesaltes, nel sud della Francia.
Inoltre molti ebrei, tra i quali numerosi erano i clandestini giunti dall’Italia, residenti ancora a Nizza o nei dintorni, furono interessati dalla retata organizzata dal Governo di Vichy e condotta dalla polizia francese. Gli ebrei arrestati durante la retata sarebbero stati concentrati nella caserma Auvare a Nizza.
Questo periodo burrascoso ebbe termine l’11 novembre 1942, quando le truppe italiane occuparono la Costa Azzurra e altri sei dipartimenti, situati a ovest del fiume Rodano. In questa occasione i militari italiani garantirono agli ebrei la loro protezione, ostacolando con ogni espediente i tentativi tedeschi di impadronirsi di quanti ancora soggiornavano nella zona.
Dopo alcune settimane, le autorità italiane, con il pretesto di un maggior controllo e di una improbabile promessa di deportazione ai tedeschi, avevano provveduto ad avviare verso le résidences forcée di Megeve, Saint-Gervais e St. Martin Vésubie, circa 2500 ebrei, giunti da poco nella Costa Azzurra e che si trovavano in una posizione irregolare, e altri 1000 furono inviati in località quali Vence, Barcelonnette, ecc.. Questa felice parentesi terminò l’8 settembre 1943 quando, dopo l’annuncio dell’armistizio, le truppe italiane si ritirarono in modo disordinato.
Purtroppo per gli ebrei presto gli avvenimenti cominceranno a precipitare sia sul piano politico sia su quello militare. Ha termine, con questa data, la fase burocratica dell’antisemitismo italiano, che cede il passo all’antisemitismo nazista, mirato non già alla separazione ma all’eliminazione degli ebrei.
Quindi gli spostamenti si fecero sempre più clandestini, nel tentativo di sfuggire all’inasprimento delle persecuzioni ed alla cattura, giacché ora non erano più soltanto in gioco lo studio, il lavoro o la proprietà ma la libertà personale e la vita.