Ammettiamolo: non c’è dubbio che gli italiani siano un popolo di “pastivori”. Dalla Sicilia al Piemonte, dalla Calabria al Veneto, passando per le Marche e l’Emilia-Romagna, la pasta è l’alimento più consumato nel Bel Paese.
C’è chi la preferisce al dente. Chi la mangia ben cotta; altri (ahinoi) stracotta. In bianco o condita.Tradizionale, integrale o biologica. Insomma: più d’ogni altro alimento è la pasta che fa da protagonista sulle nostre tavole.
Eppure non tutta la pasta è uguale. Non solo rispetto al gusto. Quello sì, a discrezione del consumatore. Ma soprattutto per quanto concerne gli ingredienti. E ovviamente la qualità.
La farina “messa” nel sacco
A tal proposito è da poco uscita una ricerca de Il Salvagente che mette a confronto 23 marche di pasta (nello specifico 23 pacchi di penne): la buona notizia, spiega la rivista, è che rispetto al passato “la materia prima è oggi diversa da quel grano canadese e statunitense, spesso troppo contaminato dal Don (micotossina appartenente al gruppo dei tricoteceni, ndr) e con residui di glifosfato davvero preoccupanti”.
Merito soprattutto della forte pressione che i consumatori hanno imposto alle aziende che hanno smesso di importare grano canadese dove l’uso del glifosfato è autorizzato anche in fase di pre-raccolta.
Tuttavia, invita la rivista, è bene non abbassare la guardia.
Di che pasta siamo fatti
Se è vero che i risultati del test mostrano una bassa contaminazione (al di sotto dei limiti di legge) non è da sottovalutare il cosiddetto effetto cocktail: “Il 25 per cento dei campioni – spiega il dottor Celestino Panizza, co-coordinatore del gruppo Pesticidi dell’Isde- Italia (Associazione dei Medici per l’Ambiente) – presenta due o più residui di fitofarmaci. Un dato da non sottovalutare vista l’azione cumulativa dei composti sulla salute”.
Rischi azzerati?
Parla di “rischi differenti” rispetto al passato, invece, il professor Alberto Ritieni, ordinario di Chimica degli alimenti presso il Dipartimento di Farmacia dell’Università Federico II di Napoli (uno dei più noti esperti di micotossine d’Italia).
Se è vero che, dati alla mano, i pastai italiani hanno iniziato a importare grano “coltivato in aree del pianeta meno umide” e quindi con “alcuni rischi inferiori”, è vero altresì che non è una materia prima “esente da criticità”.
Dai test, spiega Ritieni, “sono stati riscontrati alcuni composti emergenti e quindi al momento meno studiati (…) ma non per questo meno pericolosi di altri”.
“La tendenza dei produttori dovrebbe essere quella di limitare il più possibile la presenza di micotossine – conclude Ritieni – anche perché oltre al limite in sé, esiste l’effetto di coabitazione di più composti sull’organismo anche se presenti a basse dosi a dar vita all’effetto ‘cocktail'”.
Occhio, dunque: il cacio resta il miglior amico dei maccheroni!
La classifica stilata da Il Salvagente