Un’isola a largo dell’Oceano Pacifico con un’estensione sconosciuta che varia dai 700mila chilometri agli oltre 10 milioni, ovvero più grande della penisola iberica, nel primo caso, e maggiore degli Stati Uniti nel secondo, ma non è, certo un luogo dove trascorrere le vacanze, visto che si tratta di un’isola di spazzatura. Una grande chiazza di rifiuti che galleggia sulle acque del Pacifico e che, ora, con l’incremento di immondizia, sta diventano più estesa. Cumuli di rifiuti, soprattutto montagne di plastica, dagli anni Cinquanta ad oggi non fanno che devastare quest’area del pianeta con gravissime conseguenze ambientali. Inoltre, l’intera area è abitata da molte specie animali, soprattutto volatili che trovano qui rifornimento di cibo. Immagini inquietanti di uccelli che sorvolano sacchi di immondizia o su cui si appollaiano in attesa di riprendere il volo o di morire, visto il livello di sporcizia. Il galleggiamento di particelle inquinanti inganna le meduse che se ne cibano e introducono nella catena alimentare la plastica! L’odore fetido e malsano dell’isola si avverte, a seconda del vento, chilometri e chilometri prima di avvicinarsi alla zona.L’isola nasce, sia a causa dell’ingente quantitativo di scarti che produciamo, sia per azione della corrente oceanica detta vortice subtropicale del Nord Pacifico, dotata di uno specifico movimento a spirale in senso orario, in virtù del quale tutto ciò che galleggia viene portato, in maniera stabile, in un punto preciso e si ammassa restando lì per sempre. La sola plastica, secondo stime della Marina Usa, ammonta a oltre 3 milioni di tonnellate. A notarla per primi alcuni ricercatori con base in Alaska che, negli anni Ottanta misurarono il deposito di detriti. E non è nemmeno l’unica isola del genere. La sua gemella, infatti, è adagiata sulle acque dell’Atlantico.
Piattaforme marine, rottami, detriti delle imbarcazioni e, soprattutto impatto dell’uomo sulla Terra hanno prodotto l’isola orientale di Immondizia o vortice di pattume del Pacifico.
“Non ci libereremo mai di quest’isola – commenta Egidio Trainito, fotografo e consulente naturalistico della trasmissione Rai Linea Blu – è conseguenza del nostro benessere, dell’energia elettrica che produciamo e di cui abbiamo sempre più bisogno. Noi dipendiamo dagli idrocarburi e non abbiamo alternative, sia per rinunciare a determinate sostanze come la plastica, sia per eliminare i rifiuti ammassati nel Pacifico. Ormai, quel sito è diventato un vero e proprio ecosistema che galleggia in acque internazionali, sicuramente popolato da organismi, batteri di vario tipo. Più che un’isola, è un continente generato da microparticelle di plastica. E l’inquinamento non è solo concentrato sull’isola. In qualsiasi zona del mondo, se si effettua una campionatura delle acque marine, si riscontrano particelle di plastica inferiori ai 5 millimetri. Il quadro è drammatico perché non c’è soluzione. Oltre al degrado estetico, ambientale, si parla di inquinamento e avvelenamento del pianeta che ci riguarda e ci coinvolge. In termini umani la plastica è indistruttibile, servono migliaia di anni per smaltirla, e noi non abbiamo alternative. L’umanità sta vivendo un periodo molto buio”.
Il maremoto che nel 2011 ha complito la costa orientale giapponese ha spinto nell’oceano una quantità innumerevole di scorie, molte provenienti da terra, che, galleggiando, si sono distribuite nell’area dell’isola aumentandone le dimensioni. Un studio dello scorso mese ha rivelato che l’accumulo è incrementato di 2mila miglia e il 98% dei rifiuti “nuovi” è di plastica.