Storia, poesia, natura, passione, intrighi politici, tradimenti e sangue reale. Sembra la trama di una moderna soap opera o di un film d’azione. Tutto è condensato in un unico ambiente, quasi surreale ed è semplice, assoluta e provata realtà. I personaggi coinvolti sono i Savoia, il re d’Italia Vittorio Emanuele e la sua amante, la giovanissima e rubiconda Rosa Vercellana, figlia del popolo piemontese, più nota come la Bela Rosin. La scenografia è data dalla spettacolarità de La Mandria. Il vasto parco, oggi regionale, a nord ovest da Torino, ex capitale italica, nei pressi di Venaria Reale. Il parco è area protetta dal 1978 e si estende per quasi sette ettari. Cinto da trenta chilometri di mura per tenere lontano il “rumore” della corte, degli impegni diplomatici della reggia torinese, Vittorio Emanuele si assicura così, la sospirata quiete della vita ritirata. Nell’Ottocento realizza in questa zona, all’interno del parco, una palazzina di caccia di cui è appassionato, composta da quattordici stanze, ben poche per lo sfarzo dell’epoca, un ampio corridoio di servizio che mostra particolari e suggestive prospettive dei molteplici quadri esposti alle pareti ricoperte da carta da parati. Circondata dal verde, la palazzina è appartata e protetta da un piccolo Borgo Castello attorno al quale si ergono molte cascine e due reposoir di caccia (la Bizzarria e la Villa dei Laghi). Inoltre, proprio per lo scopo de La Mandria, ossia la caccia, il parco è gremito da numerose specie di animali, cervi, cavalli, cinghiali, volpi, gufi reali e, durante le escursioni notturne, organizzate dall’Ente che gestisce il sito, è possibile scorgerli nel proprio habitat, a bordo di un fiabesco trenino colorato che conduce attraverso i sentieri. E attraverso il tempo. La Mandria conserva, ancora oggi, l’antico fascino e la bellezza incontrastata d’essere un polmone verde nella città.
Qui, Vittorio Emanuele, lasciata la consorte Maria Adelaide d’Asburgo Lorena a casa, o meglio al castello, si dedica alla famiglia illegittima e dopo la morte della moglie, sposa, con rito morganatico, la sua Bela Rosin. Questo è il luogo in cui trascorre la maggior parte del suo tempo, dove sveste i panni di sovrano. E, in effetti, la palazzina è arredata in maniera semplice e informale rispetto al cerimoniale di corte. In pochi sono autorizzati a frequentarla, persino i servitori sono in numero ridotto.
Bigia e Bigio, così si chiamano tra loro i due innamorati, si comportano come una comune coppia e allevano i propri figli all’ombra dello sfarzo cortigiano. Rosa bada alla gestione e alla cura dell’abitazione e, pare che lei stessa prepari i piatti preferiti da sua maestà, ovvero tajarin (tagliatelle sottili), minestrone di fagioli, pollo all’aglio, filetto al pepe, lumache, tartufo, bagna caoda (particolare condimento in cui si intingono, di solito, le verdure). Il tutto alleggerito dal digestivo che, per Rosa e Vittorio, vuol dire cognac in cui intingere un sigaro, fumato da entrambi.
Cosa insolita per una donna di quel tempo. A La Mandria, tra passeggiate a piedi, a cavallo o in bicicletta, pic nic ed escursioni, mentre si approfitta della calma offerta da questo luogo immacolato, si avverte la sensazione che, da un momento all’altro, Vittorio Emanuele torni, nella sua carrozza, a casa dall’amata, intenta ai fornelli per cucinare qualche leccornia a… Sua Altezza Reale.