“Quando non sai cosa fare, chiedi a un gatto” e i gattofili lo sanno, ma non solo loro. Basta guardarsi attorno per scorgere musetti e sguardi scaltri in ogni angolo delle nostre città che osservano il mondo dalla loro prospettiva tanto da averne un’opinione tutta personale che, a volte ci aiuta nelle nostre scelte. Helen Brown, giornalista e scrittrice australiana nel suo “Giò”, ultimo romanzo edito da Piemme per la collana “Voci”(successivo a “Cleo”, altra storia felina di successo internazionale), racconta la vita di una donna, di una famiglia e di un gatto di nome, o meglio nomiglolo, Giò, ma per non essere riduttivi e semplicistici non si tratta solo di questo. Il libro appare come condensato di vari anni fatti di desideri, ambizioni, malattie, scelte difficili, giuste e sbagliate, dolori, di figli che lasciano il nido, forse in maniera precoce. Forse, in maniera stravagante. Forse in una maniera che le madri non sentono di approvare perché li conduce troppo lontani da casa, ma che devono accettare. E, in questo calderone, descritto in modo scorrevole, leggero e piacevole, è onnipresente uno sguardo felino, un passo felpato che, a dispetto di tutto e tutti, è sempre lì dietro di noi a farci sapere che c’è, che è presente.Quello che trasmettono gli animali e che, con un pizzico di sensibilità e attenzione, si riesce a carpire è amore e saggezza. La stessa che proviene dal distacco, dall’osservazione di ciò che succede tra le mura domestiche. Giò entra nella casa della famiglia di questa bella storia all’improvviso, dopo il classico “non prenderò mai più un gatto”, quasi come fosse il successore spirituale, non solo cronologico, del precedente gatto, Cleo, morto in età avanzata. Un animale esemplare e disciplinato che ha accompagnato i membri della famiglia nel passaggio da bambini ad adulti. Da adulti a maturi per poi lasciarli come ad aver terminato il suo compito.
Giò, cucciolo di siamese con occhi color zaffiro, invece si dimostra, come spesso sono i cuccioli, un terremoto di proporzioni bibliche. Allegro, divertente, dispettoso, curioso e anche un po’ “ruffiano”, riempie la vita della persone aiutandole, con la sola fisicità, a continuare il giro sulla giostra dell’esistenza, a distrarsi da preoccupazioni e pensieri pesanti. I maestri, ogni tanto assumono sembianze feline, possono comparire sotto molte forme. Uno degli aspetti, a mio avviso, più singolare del libro è il paragone tra le figlie e i gatti. Già la dedica, infatti, recita: “a tutti i gatti e alle figlie, che non sempre vengono quando li chiami”. Appropriato, sia nell’uno, sia nel secondo caso!
Ogni capitolo regala una pillola di introduzione, ad es. il capitolo Disillusione si apre con: “fate attenzione al fascino di uomini e gatti”. Giò è un meraviglioso siamese e in un passaggio del libro, l’autrice racconta: “Non avevo mai immaginato che alla fine avremmo avuto un altro gatto in casa, men che meno un siamese. E’ una razza così presuntuosa… La leggenda vuole che solo il re del Siam (la moderna Thailandia) e i membri della famiglia reale possedessero un gatto siamese. Ogni volta che un nobile moriva, uno di questi felini veniva scelto per accogliere l’anima del defunto”.
L’unica pecca del libro, se tale si può definire, è che il piccolo adorabile Giò venga acquistato in un negozio di animali e non adottato in un gattile, ma è pur sempre la storia di un amore che va al di là della razza e dei limiti umani.
Il booktrailer del libro: