A raccontarla oggi sembra già storia d’altri tempi, anche se in realtà è passato appena qualche decennio. Sul finire degli anni ’80 le Poste hanno iniziato a portare in giro per le province italiane strane scatole di cartone, di forma allungata e dimensioni variabili. Erano le scatole della voce: i libri parlati.
Si partiva da un dato di fatto: per ciechi e ipovedenti leggere un libro (che fosse un romanzo o un manuale universitario) era difficile. I testi in nero ovviamente non erano accessibili. Esistevano le trascrizioni in braille, che però richiedevano strumenti particolari, erano costose e difficili da trasportare. Per gli ipovedenti, grazie alle prime fotocopiatrici, si stava affacciando la possibilità dei libri ingranditi, ma rimaneva il problema dell’affaticamento visivo, che spesso costringeva a interrompere la lettura dopo pochi minuti. Ecco allora l’idea, semplice quanto efficace: si pensò di registrare i libri su audiocassette. Così, grazie ai “donatori di voce” (tutti volontari) sono nate le biblioteche di libri parlati, le nastroteche. Il Piemonte ha sempre avuto un ruolo guida: uno dei primi centri italiani a svolgere il servizio è stato quello del Lions Club di Verbania. Poi si è aggiunto un polo torinese, gestito dall’Unione Italiana Ciechi.
Da quei primi esperimenti sono trascorsi anni di conquiste e innovazioni. Ora che il computer è un compagno quasi insostituibile, trovare libri in formato digitale, ingrandirne i caratteri o trascriverli in braille non è più così difficile. Anche le nastroteche hanno cambiato forma: le audiocassette hanno lasciato il posto ai cd e oggi i centri più aggiornati danno la possibilità di scaricare file mp3 da ascoltare sui lettori portatili. Per i giovani è stato un passaggio naturale, ma gli anziani faticano a tradire il vecchio registratore con “queste diavolerie moderne”. Così le vecchie, misteriose scatole viaggianti non sono ancora andate in pensione. In tempi di crisi qualche centro, come quello di Torino, è costretto a chiudere: oggi i disabili visivi piemontesi devono far capo a Feltre (in Veneto) oppure a Firenze. Quando le nastroteche saranno interamente digitalizzate e tutti i contenuti disponibili in rete, la distanza fisica non creerà più problemi. Ma c’è ancora molto lavoro da fare e per ora i lettori piemontesi devono rassegnarsi a qualche disagio.
Cambiano mezzi e tempi, ma l’utilità e il fascino dei libri parlati rimangono. Quasi come gli “uomini libro” di Fahrenheit 451, i donatori di voce fanno parlare Tolstoij e Dostoevskij, Simenon e Agatha Christie, Camilleri e Stieg Larsson. Non sono attori, ma gente comune: così magari Raskolnikov si ritrova a confessare il suo delitto con una lieve cadenza astigiana e Poirot continua imperterrito a interrogare testimoni, nonostante la raucedine e i postumi dell’influenza. Ma sono dettagli, che nulla tolgono alla bellezza della letteratura: chi fin da bambino ha ascoltato i libri parlati conserva una silenziosa gratitudine per questi ignoti lettori. Ce li possiamo immaginare mentre, ritagliandosi con fatica un po’ di tempo, si schiariscono la voce e cercano il segnalibro (in sottofondo le campane della chiesa di rimpetto o il cane o i bimbi che giocano). Nella loro pazienza c’è un lavoro prezioso, perché dove arrivano le parole arrivano i pensieri. Già, proprio così (lo sapeva bene don Chisciotte), i libri fanno nascere strane idee e invitano al viaggio, alla sfida, alla lotta contro i mulini. Qualcuno, dopo aver ascoltato tante storie, si è messo in testa di diventare giornalista.