Torniamo a occuparci di provvidenze economiche per le persone disabili, argomento sempre “caldo”, sempre attuale. Dal tribunale di Torino arriva una sentenza significativa, che “fa scuola” e soprattutto fa tirare un sospiro di sollievo alle tante persone costrette ogni giorno a destreggiarsi tra burocrazie farraginose e paradossi della giurisprudenza italica.
Ecco di che si tratta. Molti disabili percepiscono una provvidenza sottoposta a “termine di revisione”, cioè, entro una data stabilita, devono presentarsi all’Inps per una visita di accertamento: una commissione medica valuta le loro condizioni e, in base alla percentuale di invalidità che ne deriva, stabilisce se erogare ancora la stessa provvidenza oppure no. Solo che a volte la convocazione non arriva in tempo: scade il termine indicato sul verbale senza che il disabile sia stato chiamato per la visita (le cause possono essere moltissime: ritardi, liste d’attesa infinite, errori nella comunicazione). D’ora in poi, in tutti i casi in cui il ritardo è imputabile all’Inps (e non alla persona disabile), l’ente pensionistico dovrà continuare a versare la provvidenza, finché non sarà fissata una nuova visita: solo allora si potrà stabilire se la percentuale di invalidità è rimasta immutata oppure no.
Questione di buon senso, verrebbe da dire. Ma evidentemente non è così ovvio, se una ragazza disabile ha dovuto rivolgersi alla Consulta per le Persone in Difficoltà e avviare un ricorso. Il pronunciamento del giudice è chiarissimo: “Sia l’art. 42 della legge 24.11.03 n. 326 che la circolare Inps n.77 del 21.7.08 dispongono che la revoca della prestazione avvenga con decorrenza dalla data della verifica, qualora non venga confermata la permanenza del requisito sanitario: è pertanto evidente che la revoca della prestazione non può essere disposta se la visita di revisione non viene effettuata per colpa dell’Inps, perché in questa ipotesi si deve ritenere che il requisito sanitario persista”. Un piccolo puntello su cui sostenersi in caso di controversie.