Quando, all’inizio degli anni ’90, il comune di Torino estese ai ciechi assoluti il servizio di buoni taxi inizialmente previsto solo per i disabili motori, la decisione aveva il sapore di una conquista storica. Finalmente arrivava una risposta pratica, pensata per chi non poteva prendere autonomamente i mezzi pubblici. In vent’anni di ‘onorato servizio’ i buoni taxi hanno permesso a tanti ciechi torinesi di raggiungere con tranquillità il luogo di lavoro e di studio, di girare la città senza rischi, di avere una vita sociale. Ma ora i tempi sono cambiati e lo stesso Comune che a suo tempo fu all’avanguardia nell’innovazione rischia di fare una pericolosa marcia indietro.
Di una revisione del regolamento sui buoni taxi si parla da oltre due anni senza mai arrivare a un punto fermo. Recentemente l’assessore ai trasporti Claudio Lubatti ha convocato le associazioni di disabili per dare una notizia tutt’altro che rassicurante. Siamo alle solite: i fondi non ci sono e da qualche parte bisogna tagliare. Così, forbici alla mano, ecco qualche possibile cambiamento nel servizio: taglio alla dotazione minima e massima dei buoni, maggior partecipazione alla spesa da parte dei disabili, rendicontazione mensile, pagamento dell’eccedenza del costo della corsa rispetto al valore del buone direttamente al taxista. E soprattutto si parla di vincolare il servizio all’Isee (Indicatore di Situazione Economica Equivalente), sigla che ultimamente per i disabili si è trasformata in una vera persecuzione. Visti i tempi di crisi, Uici (Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti) e Apri (Associazione Piemontese Retinopatici e Ipovedenti) si dicono disponibili a fare sacrifici, anche significativi. Purché questo non comporti un’involuzione e uno stravolgimento del servizio.
Attualmente i buoni taxi vengono dati a varie categorie di utenti, compresi i malati gravi che necessitano di terapie, condizione da tutti riconosciuta come priorità in senso assoluto. Il fatto è che le spese, enormemente lievitate negli anni proprio per l’inclusione di un numero sempre crescente di persone, gravano tutte sull’assessorato ai trasporti. Secondo Uici e Apri, nel caso dei malati gravi sarebbe opportuna una compartecipazione da parte dell’assessorato regionale alla sanità attraverso le Asl. Anche perché ci sono in gioco finalità molto diverse: nel caso dei malati si tratta di garantire le cure mediche, nel caso dei ciechi di garantire mobilità e quindi emancipazione, inserimento scolastico e lavorativo.
E se l’assessore Lubatti dice che “esistono anche disabili benestanti”, Uici e Apri replicando affermando che questo non è un buon motivo per estromettere tutti dal servizio. Soprattutto le due associazioni ci tengono a sottolineare quanto, in una città grande come Torino, la mobilità per una persona non vedente possa essere complicata. “Non ci risulta – scrive in un editoriale Enzo Tomatis, presidente regionale Uici – che per salire sui tram venga chiesto il 730. E se un bancario o un dirigente d’azienda che abita su corso Francia o in zona Lingotto deve recarsi in centro per lavoro, presumibilmente lo farà in metropolitana, impiegando pochi minuti del suo tempo e spendendo un euro e cinquanta centesimi come gli altri cittadini, che siano lavoratori o casalinghe. Una possibilità comunque preclusa ai non vedenti: un cieco non accompagnato non è in grado di fruire autonomamente del trasporto pubblico. Chi non è convinto di questo aspetto, può sempre uscire di casa bendato e provare a raggiungere le sue solite destinazioni in autobus o in tram”.