Amo il vino in tutte le sue declinazioni. Il mio favorito rimane il rosso piemontese, ma non disdegno il bianco (anche di altre regioni) quando si tratta di un sapore che sa narrare un territorio, un’emanazione della terra, dell’acqua e dell’aria racchiuso in un dato perimetro. Non è un’adesione alla politica della denominazione ‘al centimetro’, ma semplicemente l’ammettere che ogni terra è diversa e può esprimersi attraverso bouquet e gusti necessariamente differenti.
In Piemonte siamo letteralmente pieni di questi retro-gusti territoriali e uno dei migliori – oltre al mio amato cioccolato – è senza dubbio il vino.
Cos’è l’aperitivo perfetto? D’inverno è un caminetto scoppiettante, un buon libro e l’immancabile bicchiere di Barbera o Nebbiolo (e Barbaresco!) e il freddo fuori che appanna i vetri delle finestre. D’estate è sedersi sulle sdraio in terrazza e guardare il tramonto sui tetti del Quadrilatero, le evoluzioni delle rondini con un buon bianco da sorseggiare nel calice alto con dentro le ciliegie. Amo in particolar modo bere il nettare degli dei nei bicchieri vintage recuperati nei buffet delle nonne: mi fanno impazzire soprattutto quelli anni ’30 e ’50, con le loro incisioni floreali ormai un po’ appannate. La mia credenza sta esplodendo di bicchieri. Faccio la rabdomante nei mercatini di tutta Italia per scovarli e quando si rompono è come la storia di qualcuno che se ne va.
Chiunque venga in Piemonte non può che perdersi nella varietà dei vini locali. E, da ideale provincia francese (quale in fondo rimaniamo) dove Bacco ed i formaggi la fanno da padrone, anche quest’anno la regione ha sottolineato questa sua identità: al Vinitaly di Verona, infatti, il Piemonte ha esordito con l’appuntamento dedicato alla presentazione del progetto transfrontaliero – in partenariato con il Dipartimento francese della Savoia – nominata “Vin’Alp”. Inutile sottolineare che il partenariato è molto più che nominale. Si tratta di radici comuni: il sentimento che nutriamo verso il rosso rubino è qualcosa di inconscio, che i veri piemontesi hanno nel dna. Fa parte del saper assaporare un vino degustandolo senza farlo vedere – mustrelu nen –una sorta di istintivo sommeiller che alberga in noi. Possiamo bere di tutto, ma sappiamo distinguere tra quello che merita il momento di concentrazione (vin de stup) e quello senza pretese, che serve ad accompagnare una cena conviviale.
E di qui la presentazione al Vinitaly della vera novità: a Torino produciamo vino in città. Sì, c’è davvero un vigneto subito sopra il centro. Ci si può andare a piedi. Franco e Luca Balbiano dell’omonima azienda vinicola di Andezeno, infatti, hanno recuperato un’intera collina affacciata sul Po. Ma, attenzione: non una collina qualunque, bensì un pezzo dei giardini della Villa della Regina, antica residenza sabauda.
La Vigna della Regina ha prodotto circa cinquemila bottiglie, in gran parte di Freisa, presentate alla fiera quale primo vino prodotto dentro la cinta daziaria cittadina già oltre un secolo fa, che dalla vendemmia dell’autunno prossimo si fregeranno anche del titolo DOC (denominazione di origine controllata).
Così, Torino – ora possiamo vantarci nei salotti del resto d’Italia – è, insieme a Parigi e Vienna uno dei rari esempi europei di produzione di vino di qualità propria in loco. Parigi ha una vigna a Montmartre e Vienna sulle colline di Grinzing. La vigna della Villa della Regina di Torino è uno stupendo edificio barocco dietro la Gran Madre, costruita all’inizio del Seicento dal cardinal Maurizio di Savoia, poi ampliata nel tempo anche dalla mano di Filippo Juvarra. La villa – una delle residenze estive dei Savoia fino al 1864 – ha, oltre al giardino all’italiana, anche fiabeschi orti e, appunto, la vigna. Per molti anni sede del collegio delle Figlie dei Militari, venne abbandonata e lasciata incolta negli anni Settanta, fino al 1994, quando cominciò la fase di recupero, oggi quasi conclusa.
Dalla prima vendemmia nell’autunno 2008 oggi finalmente i risultati. E, oltre alla Freisa, rispolverando la Storia locale, sono state reintrodotte altre varietà di vitigni, alcuni anche rari: la grisa roussa, il cari, il balaran, il neretto duro, la bonarda e la nostra suddetta barbera.
Un ritorno al passato e un augurio per il futuro: un tempo tutte le ville collinari avevano oltre all’orto anche la vigna. Di questi tempi è un esempio che fa tendenza: dai giardini pensili dell’architetto-giardiniere Pejrone all’orto sul terrazzo di Pia Pera arriva la vigna da città. E questa è anche una vigna Doc che fa bene a chi la beve: il ricavato delle vendite all’asta servirà per completare i lavori di restauro del parco.
Und so…Prosit, Folks!