Rocco Hunt, il simpatico e bravo rapper salernitano, non segue proprio ‘o pallon perché la sua passione è o’ microfon.
Mi piace, Rocco Hunt. Mi piace molto meno precisare la provenienza e sorridere di una ‘fede’ diversa da quella del calcio. Ma l’Italia è anche l’unità incompiuta, una sotterranea (neanche troppo) perenne incomprensione, un campo minato di campanili e una enorme periferia che deve avvicinarsi ai centri per emergere.
Se tutti ci rendessimo conto che certi disagi sono in realtà spalmati esattamente da nord a sud, che la forza enorme sta nella complicità, che nel mondo ‘globalizzato’ Milano e Roma potrebbero non essere gli unici spazi di opportunità avremmo vinto molto più della Lotteria Italia di tutti i tempi ma facciamo ancora fatica a compiere questo facilissimo salto di pensiero.
E insomma Rocco Hunt diventa al Festival di Sanremo una sorta di nuovo simbolo campano come Arisa per la Basilicata. Indubbiamente da artisti dovrebbero gioire di essere orgoglio della musica più che orgoglio di uno spicchio di terra ma a loro tocca come a molti altri barcamenarsi tra radici e presente o, meglio, futuro. Essere portatori di una convinzione: che il talento o giù di lì sono cose che nascono ovunque.
Questo discorso mi sconforta sempre un po’. Mi ritrovo con la classica speranza che sa di finire disperatamente disillusa. D’altra parte…se non ora quando? Almeno bisogna esprimerla ‘questa cosa’ che ci tarpa le ali, questo frazionamento che ci indebolisce, questo assurdo rifiuto di cogliere un valore che rappresenterebbe il vero trampolino di lancio del Paese intero. Intero.
Sogno nu juorno buono per l’Italia. Parrà strano ma mi sento italiana e già mi pare una piccola grande ‘miseria’ perché preferirei sentirmi sempre e solo una terrestre.
Rocco Hunt il tuo accento si deve sentire ma anche tu staresti a meraviglia, come me, in un Paese che non ha bisogno di cantarlo per infrangere pregiudizi, rivendicare le bontà, difendere la vita e i sogni.
In bocca al lupo, carissimo rapper.