Ci sono luoghi del cuore al di là di qualsiasi riconoscimento. E lo sono per tutti. Perché basta uno sguardo per innamorarsi. Non della bellezza o dell’importanza storica. Ma di quello che ti arriva, in emozioni che prendono la loro stessa forma, come per magia.
Meraviglia delle sensazioni, quelle che non scivolano sulla pelle, ci restano sopra come un tatuaggio. E si rinnovano in pensieri, magari in qualche fantasia per tutto quello che lì dentro assomiglia a una poesia o ti bussa alle orecchie come un allegro gruppetto di note.
La cittadella di Alessandria è uno di questi. E non dovete chiedermi perché, appunto. Questo già la rende straordinaria. Che i motivi sono miei o vostri o di quelli che ci hanno respirato. In un tessuto di ieri e oggi che domani ancora sveglierà passioni e malinconie. Nell’atmosfera che non sta nelle parole e che quindi puoi salvare dalle celebrazioni che poi la farebbero monumento e non vita.
La via del recupero è tutta nell’amore, quello autentico. Che sicuramente ha la forza della libertà, quella che sa interpretare nuovamente lo spirito giusto. Già, in realtà bisognerebbe dire in quale modo perché la percezione di ciò che è giusto è relativa, talvolta troppo. Per questo sarebbe fantastico potersi fidare dell’istinto, se è un motore che funziona a sentimenti e non prende una velocità pericolosa. Il ritmo, esatto. Ci vuole il ritmo della cittadella, anche se la crisi morde e ci fa rendere conto di quante cose andavano fatte prima, di quante mancanze abbiamo accumulato, di quanti tesori possiamo perdere.
“Salvare” la cittadella di Alessandria, l’ho letto e mi ha messo addosso un’indescrivibile tristezza. Siamo nel Paese dell’emergenza, quello in cui si corre ai ripari in ritardo, quello dove devi sempre aver paura delle soluzioni perché è troppo alto il rischio che non risolvano. E ancora, ancora. Che siamo pieni di luoghi del cuore ma abbiamo perso, chissà dove, il cuore.