Se il costo della vita galoppa e la busta paga resta ferma a vent’anni fa il solo modo per guadagnare è risparmiare. L’idea di una “decrescita felice”, di un rallentamento del nostro sviluppo e di un ridimensionamento delle nostre esigenze si fa strada trasversalmente fra tutte le classi sociali che non si riconoscono più in un modello di sviluppo in cui i bisogni sono indotti dall’esterno più che sentiti dall’individuo. In un contesto di carenza di risorse, il risparmio può diventare l’unica forma di “guadagno”. “A che serve guadagnare il mondo intero se poi perdi l’anima tua?” diceva un antico libro scritto a più mani secoli fa. Il modello di misurazione del benessere col quale siamo cresciuti, il Pil, è diventato di colpo un brontosauro. Se me ne sto a casa a leggere un vecchio libro non movimento il Pil. Se mi metto in macchina, acquisto la benzina, sto fermo in coda fra aulici cori di clacson, pago l’autostrada, prendo un caffè per stare sveglio, aumento il Pil. Ma quale fra le due attività è più vicina all’idea condivisa di benessere? Vecchia come il Pil è anche l’idea di continuare a vivere col tenore di vita col quale siamo cresciuti nei mirabolanti anni Ottanta e Novanta. Non è più possibile. Ci sarà una ragione se aumentano (anche fra i grattacieli newyorchesi) gli orti cittadini?
Ci sarà una ragione se si torna al baratto, se nascono banche del tempo nelle quali non si scambiano soldi ma competenze? Costa meno nasce con questo scopo: intercettare le forme di questa nuova economia, dare suggerimenti su come e, soprattutto, su dove risparmiare. Perché – anche grazie allo straordinario flusso di informazioni fornito dal web – è possibile risparmiare tempo e denaro, eludere la logica ricattatoria di un’economia basata sull’equivoco fra ciò che è necessario e ciò che è superfluo.