Lo diceva mia nonna, i metodi tradizionali sono i migliori. Anche contro le zanzare. E non mi riferisco a misteriosi intrugli untuosi e puzzolenti, che oltre ai fastidiosi ditteri, di sicuro tengono lontano anche i fidanzati. Parlo di un sistema ancora più tradizionale: la catena alimentare.
Ce lo insegnavano anche a scuola: in una catena alimentare che si rispetti, ogni insetto ha il suo predatore. E le zanzare, in un ecosistema non modificato dall’uomo, dovrebbero vedersela con ben 500 specie di organismi antagonisti, dalle cimici acquatiche che si nutrono delle larve fino alle rane, agli uccelli e ai pipistrelli.
Il problema insorge quando la catena si rompe, come nelle città o in aree agricole a monocoltura (risaie in particolare). In ambienti trasformati dall’intervento umano, pipistrelli e altri predatori fanno fatica ad adattarsi, mentre le zanzare proliferano incontrollatamente. A quel punto, la lotta chimica sembra l’unica soluzione possibile, con spargimento di pesticidi e affini nelle zone più infestate, e largo uso domestico di spray, zampironi, piastrine e altri arnesi che, per quanto a bassa tossicità, di certo salutari non sono.
E se invece provassimo a ripristinare la catena alimentare interrotta? È appunto questo il principio della lotta biologica agli insetti nocivi. Principio su cui si basa il progetto Bat Box – Un pipistrello per amico, ideato da Coop con il Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze.
Se poi proprio non riuscite a farvi risultare simpatici i piccoli mammiferi alati, provate a pensare che uno solo può divorare fino a 3000 zanzare per notte. Allora, meglio un pipistrello o lo zampirone?