Gli errori giudiziari e le loro conseguenze

Abbiamo intervistato la Professoressa Maria Gaia Pensieri, docente di sociologia presso l’Università Popolare degli Studi di Milano –  Università di Diritto Internazionale – autrice del libro “La falsa giustizia” scritto a quattro mani con il Generale Luciano Garofano che tratta il tema dell’errore giudiziario.

Perché avete sentito l’esigenza di pubblicare un’opera sull’errore giudiziario?

Insieme al  mio coautore il gen. Luciano Garofano abbiamo sentito questa esigenza, perché riteniamo che il nostro sistema giudiziario non sia perfetto  e con questo non vogliamo lanciare accuse a chi ogni giorno si impegna per mandare avanti la macchina della giustizia, ma solo dire che la giustizia del nostro Paese come quella di molti altri, può senz’altro migliorare intervenendo con delle riforme che introducano dei protocolli e delle linee guida in grado di limitare la possibilità di commettere errori, lo  sosteniamo sulla scorta delle esperienze  già compiute  da altri Stati.

Consideri che negli ultimi 25 anni l’Italia ha speso circa 790 milioni di euro a titolo riparatorio per le 27.200 persone colpite da errori giudiziari e da ingiusta detenzione; questi di cui parliamo sono solamente i casi noti che seguendo le corrette procedure hanno ottenuto i risarcimenti, ma chissà quante altre persone rivendicano la loro innocenza e sono ancora in attesa di avere giustizia.

Sin dalla prefazione del libro ponete l’accento sulla necessità di un approccio scientifico alla scena del crimine. Non è sempre così che dovrebbe accadere? 

Certo dovrebbe essere sempre così, in Italia abbiamo molte eccellenze e nulla da invidiare ad altri Paesi, però non sempre sono queste ad entrare per prime in azione; accade ancora che la scena del crimine nell’immediatezza dei fatti non venga adeguatamente protetta, con il rischio concreto di inficiare per sempre un caso.

Una parte importante dell’iter giudiziario è rappresentata proprio dalle fondamentali attività di sopralluogo necessarie all’acquisizione di tracce e reperti da sottoporre ad analisi, che dovranno essere svolte in maniera attenta e completa, con modalità che evitino contaminazioni e alterazioni. Oggi possiamo contare sull’apporto di nuove tecnologie e materiali per l’attività di acquisizione, ma è pur sempre un’attività svolta dall’uomo e per questo s’impone l’applicazione e il rispetto di protocolli e procedure scientifiche sia in queste fasi che nelle successive analisi di laboratorio, allorché il valore probatorio dipende dal corretto svolgimento di queste attività.

Quali sono le cause che non lo permettono in Italia?

Le basi per lavorare in modo professionalmente valido ci sono anche in Italia, devono solo essere codificate alcune procedure, certificati tutti i laboratori che operano sulle fonti di prova, dev’essere garantita la catena di custodia, devono essere più stringenti i criteri che consentono a Periti e Consulenti di operare in ambito giudiziario.

Quali sono gli errori più comuni commessi nell’identificazione del reo, di chi è accusato di un delitto? 

Paradossalmente nei casi in cui sono presenti dei testimoni il riconoscimento dell’autore di un crimine sembra una questione semplice da dirimere.

Invece gli studi compiuti hanno affermato esattamente il contrario, l’erroneo riconoscimento rappresenta l’80% delle cause di errore individuate negli Stati Uniti.

Molto dipende dalle condizioni ambientali e dalla durata dell’esposizione alla vista del possibile autore del crimine; ci sono elementi che influiscono negativamente sul ricordo, ad esempio: il tempo trascorso tra l’evento e l’identificazione; ma giocano a sfavore anche i condizionamenti dovuti al pregiudizio, e la comune difficoltà a riconoscere i dettagli dei volti di etnie diverse dalla nostra, per cui tendiamo ad avere una visione d’insieme gestaltica.

Nel caso delle descrizioni fatte ai disegnatori di identikit, la nostra memoria potrebbe inconsapevolmente ricostruire parti mancanti del ricordo, estraendo dalla memoria elementi di volti familiari sovrapponendoli a quello da delineare, tutto ciò in perfetta buona fede.

Ma possono giocare cattivi scherzi la pressione psicologica proveniente dal contesto istituzionale, la motivazione a voler fornire informazioni utili al caso e l’ansia per le aspettative degli investigatori, come anche le modalità di presentazione delle persone o delle fotografie disposte da parte degli inquirenti per il riconoscimento del potenziale reo, si è visto che sono state foriere di errori.

Ciò detto si comprende quanto sia importante conoscere quali siano gli elementi che condizionano il corretto riconoscimento per porvi dei correttivi, questo in funzione del ruolo di primo piano che riserviamo alla testimonianza all’interno del processo.

Il libro tratta molti casi giudiziari americani. Abbiamo letto il lavoro svolto dall’associazione “Innocence Project” in merito. In Italia si può affermare che non vi sia ancora una sensibilità e degli strumenti adeguati sul tema? 

Nel libro oltre ai casi italiani abbiamo riportato il risultato esperienziale statunitense, raccontando attraverso dei casi reali le tipologie di errori commessi, casi che sono stati sottoposti a processi di revisione e dai quali è risultata la piena innocenza delle persone precedentemente condannate in via definitiva. Questi casi sono stati utili per comprendere dove si era prodotto l’errore e per iniziare quel percorso che auspichiamo inizi anche da noi, affinché tutto ciò non si ripeta mai più.

Da quello che abbiamo appreso leggendo questi documenti, generalmente non è mai un solo errore che porta ad un’erronea condanna, ma una somma di essi.

Quando nel 1992 il percorso dell’Associazione Innocence Project è iniziato, l’opinione pubblica americana era scettica, il popolo americano ha sempre riposto estrema fiducia nel proprio sistema giudiziario.

Ebbene, man mano che l’attività di revisione procedeva ed emergevano nuovi casi di errore, anche l’atteggiamento delle persone è cambiato, tanto da spingere alcuni stati dove vigeva la pena di morte ad interrompere le esecuzioni e ad istituire commissioni d’inchiesta per far luce su alcune prassi che hanno avuto un ruolo importante nella commissione di errori che hanno portato ad ingiuste condanne.

A nostro avviso il dibattito sull’errore giudiziario in Italia è iniziato recentemente; alla fine di alcuni processi noti alle cronache, capita sempre più spesso di assistere a discussioni sui media e sui social di persone schierate tra gli innocentisti e i colpevolisti, questo vuol dire che in alcuni di noi permangono dei dubbi dopo certe sentenze.

Il nostro sistema ha tre gradi di giudizio posti proprio a garanzia di un giusto esito, però sulla scorta di quanto abbiamo appreso dal lavoro già svolto negli Usa, manca ancora una vera consapevolezza di quali siano gli errori commessi nella nostra realtà, fino a che non daremo inizio ad un percorso simile al loro.

È previsto a breve uno studio approfondito della casistica italiana? 

Consideri che la prima sede italiana dell’Innocence Project Italia è stata aperta nel 2014, prima di poter vedere dei risultati concreti del lavoro svolto, pensiamo che occorra ancora qualche anno.

Il libro
La falsa giustizia La genesi degli errori giudiziari e come prevenirli
di: Garofano Luciano Pensieri Maria Gaia
Prefazione di Manfredi Mattei Filo della Torre
Introduzione di Baldassare Lauria
Autori: Luciano Garofano, Maria Gaia Pensieri

Le mafie nella politica e nel calcio: Calabrò lancia l’allarme

“Caratteristica imprescindibile di ogni organizzazione mafiosa è quella di non trascurare alcun ambiente che sia produttivo di ricchezza e denaro“.

 

È ’ quanto si legge oggi in un articolo di Piero Calabrò, magistrato per 36 anni (dal 1979 al 2015): un nome estremamente noto nella lotta per la legalità, non solo nell’ambiente calcistico. Presidente Fondazione  SDL (contenziosi contro banche, finanziarie ed equitalia) attualmente presidente della nazionale Italiana Magistrati, della commissione rischi della Fgci e dell’Ordine di Vigilanza del Gruppo Pellegrini (ex Presidente Inter).

Peraltro già Relazione conclusiva della Commissione parlamentare antimafia, presieduta da Rosy Bindi, sottolineava anche ‘preoccupanti forme di contaminazione mafiosa del mondo dello sport’ e ‘in particolare del calcio italiano emerse dall’inchiesta parlamentare e che non possono essere sottovalutate’.

Diversi sono i canali in cui si realizza la contaminazione del sistema calcistico da parte delle organizzazioni criminali. Il primo è rappresentato dalle tifoserie ultras, un mondo in cui è frequente l’osmosi tra la criminalità organizzata, la criminalità comune e le frange violente del tifo organizzato, nelle quali si annida anche il germe dell’estremismo politico.

INSEGNARE LA LEGALITÀ

Uno degli appuntamenti “Progetto Legalità Brianza” che tra gli ideatori ha proprio Piero Calabrò, è una iniziativa realizzata on l’Associazione “Bang” che ha lo scopo di promuovere la cultura della legalità, della solidarietà e dell’ambiente.

 

La strategia adoperata per affrontare il fenomeno della violenza ultras tradizionalmente incentrata sulla fase del ‘controllo’ e del ‘contenimento’ ha indubbiamente prodotto efficaci risultati nel mantenimento dell’ordine pubblico, ma non ha impedito ai gruppi ultras di mantenere e rafforzare il proprio potere all’interno di alcuni settori degli stadi. Non sempre l’attività illecita o violenta dei gruppi ultras riceve la necessaria attenzione della polizia giudiziaria e della magistratura e questa tendenza a sottovalutare il fenomeno è diffusa anche nell’opinione pubblica. La forza di intimidazione delle tifoserie ultras all’interno del ‘territorio-stadio’ è spesso esercitata con modalità che riproducono il metodo mafioso. Inoltre, la condizione di apparente extra-territorialità delle curve ha consentito ai gruppi di acquisire e rafforzare il proprio potere nei confronti delle società sportive e dei loro dipendenti o tesserati. La situazione è ulteriormente aggravata, dal punto di vista delle società, dalla base sociale delle stesse tifoserie, formate, secondo le stime delle forze di polizia, da una quota non indifferente di pregiudicati, in alcuni casi vicini al 30 per cento del totale.

A Torino la ‘ndrangheta si è inserita come intermediaria e garante nell’ambito del fenomeno del bagarinaggio gestito dagli ultras della Juventus, arrivando a controllare i gruppi ultras che avevano come riferimento diretto diverse locali di ‘ndrangheta; in alcuni casi i capi ultras sono persone organicamente appartenenti ad associazioni mafiose o a esse collegate, come ad esempio a Catania o a Napoli; in altri casi ancora, come quello del Genoa o della Lazio, sebbene non appaia ancora saldata la componente criminalità organizzata con quella della criminalità comune, le modalità organizzative e operative degli ultras vengono spesso mutuate da quelle delle associazioni di tipo mafioso. I comportamenti violenti e antisportivi vengono utilizzati come armi di pressione e di ricatto nei confronti dei club. Facendo leva sulla responsabilità oggettiva delle società gli ultras di fatto scambiano la garanzia di partite di calcio tranquille con notevoli vantaggi economici (dai biglietti omaggio al merchandising ai contributi per le trasferte).

Un ulteriore canale di infiltrazione mafiosa non meno preoccupante, riguarda la proprietà delle società di calcio, che possono diventare un canale di riciclaggio di capitali di provenienza illecita, si veda il recentissimo caso del Foggia calcio, oltre che fonte di ulteriore arricchimento per le attività economiche e finanziarie connesse. Ma investire in una squadra di calcio consente alle organizzazioni mafiose di acquisire anche consenso sociale e prestigio che aprono le porte a importanti relazioni anche con le istituzionali locali.

Una necessità è irrobustire l’attività di prevenzione e di controllo e di trovare gli opportuni strumenti, normativi e organizzativo-amministrativi, per rendere tutti i soggetti del mondo del calcio consapevoli del rischio di infiltrazione mafiosa e attrezzati a fronteggiarlo insieme alle istituzioni. Le proposte di intervento normativo, già avanzate nella relazione tematica, sono riproposte nella relazione finale e vanno dal rafforzamento del DASPO, con la creazione di un DASPO ‘interno’ per le società all’introduzione del reato di bagarinaggio fino all’inasprimento delle sanzioni della giustizia sportiva.

Sul piano più generale della governance e dei controlli nell’ambito dello sport, si auspica un ruolo del CONI più incisivo sul rispetto delle norme sulla trasparenza delle proprietà delle società e della normativa antimafia; il rafforzamento degli organismi di vigilanza e degli organi inquirenti previsti dall’ordinamento sportivo (procura federale, procura antidoping, COVISOC, COVISOD); il reinserimento della disposizione sul controllo preventivo dei capitali esteri (c.d.‘emendamento Bindi’); la tracciabilità dei flussi finanziari con riguardo alla costituzione delle società di calcio, alla cessione delle quote, alle transazioni per l’acquisto dei calciatori estendendo i presidi antiriciclaggio anche alle società di calcio. Infine, la commissione sottolinea l’urgenza di regolare in maniera più stringente il sistema delle scommesse legali prevedendo in particolare un divieto assoluto per le partite dei campionati dilettantistici, particolarmente vulnerabili e più esposti al fenomeno del match fixing, senza escludere un allineamento della tassazione delle scommesse ai livelli delle altre operazioni commerciali.

Inoltre, nell’Italia settentrionale, se alcune aree sono risultate più accoglienti e attrattive di altre, rispetto alla penetrazione della mafia, ‘nessun territorio può essere più considerato immune’. E’ quanto si legge ancora nella Relazione. ‘Si tratta di un movimento profondo e uniforme che interessa la maggioranza delle provincie settentrionali, con una particolare intensità in Lombardia, e che è stato favorito fino a tempi recenti da diffusi atteggiamenti di sottovalutazione e rimozione.

La colonizzazione ‘ndranghetista si è affermata a macchia di leopardo con una particolare predilezione per i comuni minori, che per molte ragioni (i piccoli centri della Calabria sono le roccaforti delle ‘ndrine, è più facile mimetizzarsi e più bassa la soglia di attenzione delle popolazioni) sono risultati più facilmente espugnabili. In questa avanzata i clan calabresi non hanno seguito la legge delle metropoli del riciclaggio ma quella che nella relazione viene chiama la ‘legge dei fortini’.

La truffa marchiata “Enel Energia” che arriva da Torino

Fate attenzione se dicono di chiamare da ENEL, ENEL ENERGIA, GAS o compagnie telefoniche, spacciandosi per operatori di queste stesse compagnie, proponendo un cambio del contratto. In nessun caso – spiega la stessa ENEL –  è obbligatorio cambiare contratto.
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Ci scrive un lettore in data 8 febbraio 2018 
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Mi ha chiamato un signore sul cellulare dal numero 011 0243754.  che mi ha tenuto un quarto d’ora descrivendomi che era necessario fare il passaggio da Enel a Enel Energia, perché l’azienda era entrata nel mercato libero. Aveva il mio nominativo e sapeva che avevo stipulato un contratto con ENEL
Alla mia domanda su cosa potesse succedere se non facevo nulla e mantenevo il vecchio contratto potevo arrivare a pagare circa il doppio di quanto pago ora mentre se facevo il passaggio di contratto avrei pagato il 20% in meno.
Mi ha prospettato di mandarmi un “corriere” con il nuovo contratto ma voleva il mio numero di carta di identità. Al mio rifiuto ha detto che non poteva inviarmi il corriere.
Alla mia precisazione che volevo PRIMA vedere il contratto e solo DOPO alcuni giorni dopo averlo letto avrei deciso, ha risposto che loro NON procedono in questo modo.
In pratica io avrei dovuto firmare il giorno stesso in cui il loro incaricato sarebbe passato.
Ovviamente ho rifiutato di dare qualsiasi dato.
Finita la telefonata ho cercato su Google il suo numero 0110243754 e ho trovato sul sito di una associazione dei consumatori  altre persone che avevano ricevuto il giorno stesso la stessa telefonata
Poi ho cercato sul sito ENEL  “Attenzione alle truffe: i consigli di Enele ho visto confermati i miei dubbi

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SUL SITO ENEL SI LEGGE TRA LE ALTRE COSE CHE 
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Può capitare che il tentativo di truffa venga effettuato al telefono. Se la voce dall’altra parte della cornetta dice di chiamare per conto di una delle società di Enel, per non correre rischi è bene richiedere all’interlocutore il nome e il codice identificativo o matricola. Gli operatori di teleselling (vendita telefonica) di Enel Energia chiamano dal numero 02-94320, mentre gli operatori di Customer Care (servizio clienti) di Enel Energia chiamano dai numeri 06-87962, 02-91710 e 081-18762. È importante tenere a mente che in nessun caso è obbligatorio cambiare contratto: il cliente è sempre libero di decidere se aderire o meno alle offerte che gli vengono proposte.
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ATTENZIONE

È possibile che i vostri dati siano stati venduti ad operatori di terze parti. In caso di dubbi fate una segnalazione al Garante della privacy:  www.garanteprivacy.it

Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza sulle Donne

Il 25 novembre ricorre la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita nel 1999 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Centinaia di iniziative sono state organizzate in tutta Italia per dire ‘no’ alla violenza di genere.

stalking-donneLa città di Chieri, per l’edizione 2016, propone un momento di conoscenza alla cittadinanza attraverso l’incontro e la presentazione del libro
Stalking. Il lato oscuro delle relazioni interpersonali
A cura dell’avvocato Valeria Giacometti

Valeria Giacometti: avvocato penalista iscritta nel Foro di Ivrea, studiosa e cultrice della criminologia applicata ai crimini contro la persona e ai reati violenti, perito esperto in tecniche di prevenzione del crimine iscritta alla Camera di commercio di Verona, mediatrice civile e commerciale, saggista, redattrice della testata giornalistica l’Altra Pagina e componente di redazione per la rivista giuridica bimestrale “Ratio legis”.

L’appuntamento ha l’obiettivo di divulgare un tema ancora oggi poco conosciuto. Nello specifico, nella prima parte, l’autore si spoglia parzialmente della sua veste di avvocato, per analizzare in chiave psico-giuridica i moti interiori che portano il soggetto agente a mettere in atto tutta una serie di comportamenti che insieme ledono e colpiscono la vittima, rendendo a questa impossibile non modificare le proprie abitudini di vita. La seconda parte si concentra su una visione prettamente giuridica della questione e sui principali aspetti del reato dalla giurisprudenza in materia, evidenziando luci ed ombre dell’art. 612bis.

L’iniziativa viene svolta in collaborazione con la Cooperativa Mirafiori e l’Associazione “Quelli che…Cesare Lombroso”.

Introduce la Vice Sindaco e Assessora alle Pari Opportunità Manuela Olia, modera l’incontro l’investigatore criminologo Biagio Fabrizio Carillo.

Cari Chiamparino e Crosetto: non ricandidate alle Regionali i consiglieri rinviati a giudizio

Riceviamo e pubblichiamo una lettera aperta di un giovane imprenditore, Edoardo Lombardo,  rivolta a Sergio Chiamparino e Guido Crosetto, probabili sfidanti alle prossime elezioni regionali in cui si , chiede che si impegnino a non ricandidare i consiglieri rinviati a giudizio. Edoardo Lombardo, classe ’91, è laureando in giurisprudenza con specializzazione in Internet e Competition Law. Oggi è amministratore delegato di Edizioni Retrò Srl, la società con cui ha fondato Retrò Online, quotidiano universitario molto seguito in Piemonte.  Leggi tutto “Cari Chiamparino e Crosetto: non ricandidate alle Regionali i consiglieri rinviati a giudizio”

A Natale ricordatevi del Gruppo Abele

Da più di 45 anni Il gruppo Abele aiuta  chi fa fatica: le persone, le loro storie e difficoltà sono al centro dell’impegno del Gruppo Abele per promuovere giustizia sociale e cultura dei diritti. Un impegno al quale possono contribuire tutti. é possibile sostenere uno dei  progetti e regalare le lettere di donazione.

Il no profit si sente preso in giro dal ddl sull’abolizione al finanziamento pubblico dei partiti

Parità di trattamento nel finanziamento ai partiti e al mondo del non profit: “Il sistema del 2 per mille non può e non deve essere più vantaggioso del 5 o dell’8 per mille”. È netta la posizione di Edoardo Patriarca, deputato del Pd e presidente del Centro Nazionale per il Volontariato e dell’Istituto Italiano della Donazione, rispetto al ddl sull’abolizione al finanziamento pubblico dei partiti, che permetterà ai cittadini di destinare a partiti e movimenti politici  il 2 x 1000 della propria imposta sul reddito (Ire).“Se si deve aprire la frontiera del finanziamento ai partiti attraverso il due per mille, almeno ci siano pari diritti con gli strumenti che finanziano il mondo del non profit, che altrimenti sarebbe penalizzato –sottolinea -. Non devono esistere organizzazioni di serie A e organizzazioni di serie B”

Il decreto del governo prevede una detrazione pari al 52 per cento per gli importi compresi fra 50 euro e 5.000 euro annui e al 26 per cento (stessa percentuale di detrazione riservata per erogazioni alle onlus) per importi tra i 5.001 e i 20.000 euro. Proprio su questo punto e sulla mancanza di un tetto massimo (come avviene invece per il 5 per mille) Patriarca si dice contrario: “Rispetto al tetto e alle agevolazioni fiscali non è ammissibile che i partiti risultino soggetti molto tutelati, mentre le organizzazioni di Terzo settore, che fanno rappresentanza e cittadinanza, vengano ancora considerate irrilevanti sia politicamente che fiscalmente”. Leggi tutto “Il no profit si sente preso in giro dal ddl sull’abolizione al finanziamento pubblico dei partiti”

Il messaggio del presidente Napolitano per la festa della Repubblica

Il testo del messaggio

Rivolgo a voi tutti un cordiale saluto ed augurio per l’anniversario della nascita della nostra Repubblica. Lo celebriamo nel modo più sobrio, riducendo all’essenziale lo stesso omaggio che non può mancare alle forze armate che servono con onore, anche lontano dal paese, la bandiera nazionale e – con l’apporto del volontariato civile – la causa della solidarietà insieme con quella della sicurezza”. Così il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si è rivolto agli italiani nel tradizionale videomessaggio in occasione della Festa Nazionale della Repubblica.

E’ giusto che in questa giornata del 2 giugno l’Italia dia di sé un’immagine di dignità, di consapevolezza, di volontà costruttiva. Viviamo con profonda preoccupazione il protrarsi e l’aggravarsi della recessione, la crisi diffusa, in molti casi drammatica, delle imprese e del lavoro. Ma diciamo a noi stessi, come all’Europa e al mondo, che a queste difficoltà non ci pieghiamo, che vi reagiamo convinti di poterle superare. Purché scatti uno sforzo straordinario di mobilitazione operosa e di coesione sociale, e insieme un impegno efficace e convergente di governo e Parlamento. E in effetti, ci si sta, in queste settimane, muovendo seriamente in direzioni nuove anche in Europa, dove ormai si impone all’ordine del giorno come problema numero uno quello del creare occasioni e prospettive di lavoro per vaste masse di giovani che ne sono privi.

In questo senso, per la crescita e l’occupazione non meno che per il risanamento finanziario, ognuno  deve fare la sua parte, perché è decisivo l’apporto di tutti. Vedete, se tocca ancora a me rivolgervi quest’anno il messaggio per il 2 giugno, è perché ho accettato – sollecitato da molte parti – l’onore e il peso di una rielezione a Presidente. Ma ho compiuto questo gesto di responsabilità verso il paese, confidando che le forze politiche, a cominciare da quelle maggiori, sappiano mostrarsi a loro volta responsabili. E il primo banco di prova sta nel discutere e confrontarsi tra loro liberamente ma con realismo e senso del limite, senza mettere a rischio la stabilità politica e istituzionale, in una fase così delicata della vita nazionale.

E quindi vigilerò perché non si scivoli di nuovo verso opposte forzature e rigidità e verso l’inconcludenza, né per quel che riguarda scelte urgenti e vitali di politica economica e sociale, né per quel che riguarda la legge elettorale e riforme istituzionali più che mai necessarie. Occorre recuperare fiducia nella politica e nelle istituzioni, dando risposte concrete soprattutto ai molti tra voi che vivono momenti duri e penosi e sono in allarme per il presente e per il futuro. Ad essi mi sento e resterò vicino.

Di qui al 2 giugno del prossimo anno, l’Italia dovrà essersi data una prospettiva nuova, più serena e sicura. Andiamo avanti con coraggio per potervi riuscire. Ancora un augurio. Viva la Repubblica !.

Il pasticciaccio di Italialavoro

Riceviamo e pubblichiamo

Caro direttore, ricorda Italialavoro? Essa è l’agenzia tecnica del Ministero del Lavoro. Questa, seppur del Ministero del Lavoro, si regge quasi esclusivamente sui “collaboratori”. Sui precari, insomma. Quelli che a parole si dice di voler disincentivare e, uno dei tanti paradossi di questa azienda, quelli per i quali Italialavoro attua uno dei suoi progetti più grossi e importanti, Welfare to Work, e finalizzato proprio alla stabilizzazione dei lavoratori. Ecco, io vengo proprio da quel progetto. Lavoravo per cercare di stabilizzare lavoratori, mentre altri pensavano a come lasciarmi a terra. Si, perché a dicembre, grazie a Monti e Fornero, in centinaia se non di più l’azienda ci ha abbandonato. Fino a quel momento, di contratto in contratto, si riusciva a lavorare. Scusi,“collaborare”. Da dicembre non più, e collaboratori anche storici sono rimasti fuori, senza alcuna prospettiva. Leggi tutto “Il pasticciaccio di Italialavoro”

Le cooperative che lavorano per Esselunga dove è vietato scioperare

Anche in Piemonte ci sono diversi punti vendita di Esselunga. Purtroppo ci è stata segnalata una grave situazione su cui occorre fare luce

Safra è un consorzio di cooperative che lavora nei magazzini di Esselunga. Lavorano con loro 200 stranieri. Alcuni dipendenti sei mesi fa hanno deciso di protestare contro carichi di lavoro e orari ritenuti insostenibili. Il consorzio ha risposto sospendendo i rappresentanti sindacali e licenziando 25 dipendenti. Se la Cigl è cauta e tratta, Bernardo Caprotti, imprenditore dei famosi supermercati del nord e autore del libro-denuncia “Falce e carrello” potrebbe cambiare cooperativa ma se ne lava le mani. Nel frattempo a due lavoratori il giudice ha già dato ragione.

“Se ti iscrivi al sindacato, ti licenzio”. “Alla cooperativa non piace che il lavoratore alzi la testa, per loro devi solo dire: sì, va bene”.

Le parole degli operai Safra, il consorzio di facchinaggio operante nei magazzini Esselunga di Pioltello (Milano), descrivono un clima di paura nel polo logistico: paura di protestare per i propri diritti e di organizzarsi liberamente attraverso il sindacato. Se lo fai, sei fuori.

È quello che è successo a 25 lavoratori, tutti con regolare contratto a tempo indeterminato, di Safra, un consorzio di cooperative con sede a Milano. Tre delle cooperative che ne fanno parte, con un totale di 200 dipendenti, lavorano per la catena di supermercati Esselunga. La loro storia ha inizio sei mesi fa, il 7 ottobre, quando, dopo essersi iscritti al S.I. Cobas (in totale sono 70 gli operai con la tessera del sindacato, sui 220 che lavorano nei magazzini Esselunga), hanno scioperato contro condizioni di lavoro “disumane”: truffe in busta paga, un carico di pesi da portare avanti e indietro tra camion e muletti che va oltre quanto consentito per legge, un regime di maltrattamenti “psicologici e fisici” e di ricatto che permette ai caporali stessi di decidere arbitrariamente chi far lavorare di giorno in giorno.

Gli operai, tutti stranieri e per questo più ricattabili, sono riusciti – con l’appoggio del sindacato intercategoriale – a trovare l’unità e il coraggio di alzare la testa, mettere da parte la paura e dire “basta” allo sfruttamento di cui si sentivano vittime. Il consorzio aveva reagito mettendo in ferie forzate dodici delegati sindacali di S.I. Cobas (il sindacato intercategoriale dei lavoratori auto- organizzati) per poi sospenderli e infine licenziarli per “scarso rendimento”. Poi nuove proteste con un presidio permanente davanti ai cancelli del magazzino drogheria e, per reazione, nuovi licenziamenti da parte di Safra, fino ad arrivare a 25 licenziamenti. Diversi i momenti di tensione con picchetti, assemblee, qualche scontro con le forze dell’ordine e varie manifestazioni, come quella del 10 dicembre 2011 a Pioltello, che ha visto sfilare in solidarietà ai licenziati un migliaio di persone, in gran parte immigrati impiegati nelle aziende della zona.

Il presidio permanente ha retto fino al 20 marzo, quando è stato smantellato per ordinanza del sindaco Antonio Concas, a causa di “pesanti disagi” per la collettività.