Ad iniziare questi appunti sul Piemonte che si fa storia e narrazione, prendendo corpo nella letteratura e nelle arti, sarà La giornata d’uno scrutatore di Italo Calvino.
Questo racconto lungo un’ottantina di pagine, che ebbe una gestazione di dieci anni, tocca i temi «della infelicità di natura, del dolore, la responsabilità della procreazione» (p. VI) e nasce dall’incontro con «il Piemonte disperato che sempre stringe dappresso il Piemonte efficiente e rigoroso» (p. 20).
Lo scrittore ligure visse lunghi periodi a Torino tra il 1945 e il 1964, illuminati dall’amicizia con Cesare Pavese e dalla duratura collaborazione con Einaudi e il gruppo di intellettuali che gravitavano intorno alla casa editrice (tra cui Elio Vittorini, Natalia Ginzburg, Norberto Bobbio).
Nel 1963 pubblicò La giornata d’uno scrutatore, ambientato al Cottolengo, dove svolse questo ruolo nel 1961, dopo una prima visita come candidato nel ‘53.
Si tratta di un caso emblematico di narrazione in cui l’ambiente è il motore della storia.
Attraverso le calibrate descrizioni, incalzate dalle riflessioni e da asciutti dialoghi, il lettore segue il protagonista Amerigo Ormea nel suo viaggio verso e dentro l’universo del Cottolengo.
L’istututo si estende tra quartieri popolosi e poveri, è formato da «asili e ospedali e ospizi e scuole e conventi, quasi una città nella città, cinta da mura e soggetta ad altre regole», dai contorni irregolari «come un corpo ingrossato via via» (p. 6).
Il nome di San Giuseppe Cottolengo, «quel semplice prete che tra il 1832 e il 1842 aveva fondato e organizzato e amministrato in mezzo a difficoltà e incomprensioni questo monumento della carità sulla scala della nascente rivoluzione industriale» «aveva perso ogni connotazione individuale per designare una istituzione famosa nel mondo». Lo stesso nome che portava in sé il riconoscimento per l’opera della Piccola Casa della Divina Provvidenza era divenuto contemporaneamente «nel crudele gergo popolare […] epiteto derisorio [per indicarne i malati] abbreviato, secondo l’uso torinese, alle sue prime sillabe: cutu» (p. 7).
La giornata d’uno scrutatore si svolge nel 1953, ai tempi della cosiddetta “legge-truffa”, basata su un cospicuo premio di maggioranza elettorale. Il Cottolengo, che «da asilo, fra i tanti infelici, ai minorati, ai deficienti, ai deformi, giù giù fino alle creature nascoste che non si permette a nessuno di vedere», incutendo rispetto per la sua missione sociale «anche nei più distanti da ogni idea religiosa» (p. 5), è sotto accusa in quell’epoca come roccaforte di voti estorti a favore del partito di maggioranza.
Con il procedere del racconto Amerigo abbandona le sovrastrutture del ragionamento che si dipanano intorno al voto ai disabili psichici e ai menomati e si inoltra «al di là delle frontiere del suo mondo» (p. 6).
Nella sua discesa nel dolore, che Calvino descrive senza retorica, lo scrutatore incontra i «ragazzi-pesce [che] scoppiavano nei loro gridi» (p. 65), i derelitti costretti su un seggiolone tra il puzzo dei propri bisogni, controllati da un compagno di sventura dalle condizioni meno gravi, ma anche gli occhi «chiari e lieti» della suora che «aveva scelto una volta per tutte di vivere per loro» (p. 71) e l’uomo a cui mancavano le mani, grato di essere stato accolto con amore e aver imparato tanti mestieri.
L’esperienza al Cottolengo, unita ad un cambiamento radicale che si prospetta nel suo privato, offre al protagonista un’apertura alla vita prima sconosciuta, di cui è emblema il comprendere l’amore viscerale che lega un padre e un figlio al di là della malattia. «L’umano arriva dove arriva l’amore; non ha confini se non quelli che gli diamo» (p. 72).