Sine Ristorante Gastrocratico: Roberto Di Pinto Ce Lo Racconta

Il potere del cibo ci rimanda a tante storie, che narrano in ogni luogo la saggezza, un legame indissolubile, una storia da gustare e tramandare, perché la storia di un popolo passa attraverso il cibo.

 

“Sine Ristorante Gastrocratico” si potrebbe leggere così; Senza l’arte in cucina il suo potere non ci conquista.

 

Roberto Di Pinto ridefinisce l’arte in cucina con le sue idee pulite, ma non troppo, come l’arte non è mai semplice. I legami solidi partono dalle proprie radici, che portano a tavola sapori autentici, da lì ci costruisci tutto il resto, Di Pinto ha la fortuna di essere Campano, terra di grandi tradizioni culinarie, la sua cucina torna alle origini per riscoprire un rapporto intimo che coniuga in diverse interpretazioni.

Tutto riparte da Sine il suo nuovo singolare ristorante, è stato molto interessante chiacchierare con lui e assaporare la sua cucina.

 

Come è nato Sine? Perché Gastrocratico e quali sono state le motivazioni che hanno spinto il progetto?

Sine è nato nella mia testa ogni giorno, lavoravo ancora al Bulgari è l’idea mi accompagnava costantemente, lavorando nel mondo del lusso per tanti anni mi ha dato un imprintig settoriale, in questo caso i dettagli importanti per me nascono in primis da eliminare il superfluo. Sine come eliminare, Gastrocratico l’ho elaborato per unire il potere del cibo al piacere democratico di fare una esperienza gourmet senza spendere cifre esorbitanti. Il mio ristorante è votato per la continuità della clientela, non vuole essere un experience.

 

La fama di un ristorante si fa con ?

La fama si coltiva giorno per giorno, ha bisogno di cure, attraverso la costanza, il passaparola dei clienti, l’unione di ogni aspetto, la cucina da sola non basta. Riguardo noi, ognuno contribuisce per importanza alla stessa maniera, niente esibizioni, la cena è del cliente, questo per noi è il primo comandamento. La fama è composta da tante garanzie…

 

Quali sono a suo giudizio i gusti della sua clientela?

Dopo qualche mese di rodaggio, abbiamo recepito che ciò che attrae la nostra clientela è legato alla mediterraneità della mia cucina, che si evolve con gli abbinamenti inconsueti, basati su un gusto familiare nonostante l’innovazione. Abbiamo notato una frizzante curiosità, e una appagante fiducia nel lasciarsi guidare. 

 

Quale rischio deve prendersi uno chef per essere considerato un esempio?

Qui bisogna essere umili nel dire che diventi un esempio quando ammetti di aver bisogno della tua squadra, non parlerei di rischi, non credo ce ne siano quando adotti una certa filosofia.

  

Qual è il proverbio che non l’abbandona mai?

L’ho anche tatuato, ma non è un proverbio, è la mia frase; Peter Pan è ancora vivo, (guardate il mondo con gli occhi di un bambino, scoprirete quanta bellezza c’è nelle cose di ogni giorno).

 

Infine mi dica tre cose che la rendono felice di essere uno chef.

E’ il privilegio di poter fare ciò che ho sempre voluto diventare; uno “Chef”. Mi sveglio la mattina è sono felice di recarmi al lavoro, poi a seguire c’è la comunicazione che ho con la mia clientela, e infine il contatto con gli ingredienti genuini che la terra ci dona, la sensazione di toccarli per poi farli diventare una pietanza mi rende felice.

L’Italia del “bello scrivere”: il nuovo libro di Ada Fichera

Abbiamo intervistato la dottoressa Ada Fichera, che avevamo già avuto modo di conoscere durante il Master in Teoria e Tecnica di Comunicazione Politica e Istituzionale presso l’Università Popolare degli Studi di Milano.

Il suo ultimo libro sta diventando un successo editoriale. Si intitola L’Italia del ‘bello scrivere’ – Storie del giornalismo cultura dalla terza pagina ad oggi.” Una analisi storica, sociologica e filosofica, del giornalismo culturale di ieri e di oggi in Italia. Dalla “Terza pagina”, perfetto connubio di letteratura e informazione, alle rubriche dei quotidiani odierni, Ada Fichera ripercorre più di un secolo di storia culturale del nostro Paese, narrando le vicende, ma anche le polemiche e i dibattiti relativi a un mondo tanto affascinante quanto complesso.

C’era una volta la terza pagina, una invenzione tutta italiana, con contenuti culturali e di critica letteraria, all’interno della quale per il gusto del “bello dello scrivere” e del leggere si concentrava il vanto dei grandi quotidiani. Molti affermano che il suo declino sia dovuto all’avvento del web: anche gli esperti e i giornalisti più blasonati infatti oggi possiedono un blog su cui possono approfondire tematiche che non troverebbero spazio nell’incapsulamento di uno schema finito e limitato come le pagine a stampa.

Tuttavia, il primo quotidiano storico ad abbandonare la Terza pagina fu «La Stampa», nel 1989, ben prima dell’avvento del World Wide Web (che nascerà solo nel 1991 e solo per pochi, mentre il primo blog ad esempio comparirà nel 1997).
Alcuni spiegano che la terza pagina si sia solo spostata nei supplementi come «Tuttolibri», «La Domenica» (Sole 24 Ore) e «La Lettura» (Corriere della Sera).

Quale è la sua percezione di questo cambiamento? E poi: è possibile “fare cultura” anche con la rete?

Il cambiamento, più che una percezione, direi che è un dato di fatto, e non è riscontrabile solo sui giornali, ma ritengo che sia un segno dei tempi relativo al panorama culturale del nostro Paese. Abbiamo una involuzione, più che una evoluzione, nell’ambito dell’affezione alla lettura, al sapere umanistico, alla rilevanza di una formazione culturale in tutti gli ambiti (si veda la politica attuale, la tv, etc…).

Non si vuole comprendere che un Paese senza cultura e senza storia è un Paese senza identità e senza forti radici, ed essendo privo delle quali rimane come un palazzo in cemento costruito su basi di biscotto!

Il punto però non è nostalgicamente lamentare ciò che non va o ciò che è cambiato, ma presa coscienza, con realismo, del problema si deve capire come affrontarlo e con quali mezzi, anche “nuovi”, si può fare cultura oggi.

Da questo punto di vista anche la rete può aiutare, anzi è essenziale ormai. Giornali on line, comunicazione social ed altro sono fondamentali, basta che non vengano visti come sostitutivi. Io ritengo che Internet e la comunicazione veloce dei social sia un ottimo mezzo e un supporto all’informazione culturale, ma le pagine culturali e i supplementi settimanali non possono essere considerati qualcosa di vecchio, semmai bisogna lavorare in modo aggiornato per porgere al lettore anche quello che può sembrare per lui ostico, ma se non si scommette, se non si alza l’asticella, come si fa a pensare di compiere un salto… L’uomo, come scrivo nel mio ultimo libro, è geneticamente fatto per elevarsi. Abbiamo l’obbligo di guardare in alto, senza farci al contrario travolgere dall’abisso.

Che il mondo dell’editoria, e quello dei quotidiani nazionali, sia in crisi, è un dato di fatto. Basta guardare le classifiche di vendita, in calo ormai da una decina d’anni. Inoltre, come Lei stessa afferma, gli editori non hanno abbastanza fondi per finanziare, come fanno all’estero, servizi di grande spessore. Come potrà uscire la stampa italiana da questo enpasse? Forse lavorando insieme ad altre testate come è successo nell’inchiesta sullo scandalo dei Panama Papers, in cui giornalisti di ogni parte del mondo si sono aiutati nelle ricerche scambiandosi dati preziosi e svolgendo un lavoro di investigazione di gruppo?

Beh, tutte le soluzioni, se finalizzate a dare benzina ad un mondo che ha un motore in difficoltà, sono ben accette. Non può essere questa, tuttavia, l’unica maniera per uscire da tale enpasse.

Intanto credo che debba necessariamente ricrearsi una coscienza di Stato relativa agli investimenti per la cultura. Un Paese che non investe in cultura è un Paese già morto.

Spesso la politica vede il mondo dell’editoria come un nemico o come uno strumento a proprio uso e consumo, manca un vero progetto statale in Italia che abbia come suo scopo l’investire sull’editoria e sull’informazione a lungo termine e che intenda l’editoria e il mondo del giornalismo come un patrimonio da tutelare e sul quale spendere. Basterebbe guardare ad altri paesi europei, come l’Olanda, dove gli investimenti anche per i reportage sono di tutt’altra portata, o in Inghilterra relativamente alla promozione e diffusione capillare dei giornali.

Inoltre, l’augurio può essere quello che un settore, che a volte può apparire datato, trovi il coraggio e la volontà di rinnovarsi, aprendosi anche ad una classe giornalistica e di scrittori nuova, più giovane, sulla quale scommettere. Invece, di fronte alle difficoltà, come spesso accade, ci si arrocca sulle proprie posizioni e ci si chiude a tutela dei propri spazi. Questo è uno dei primi errori. Servono ancora, e sempre, le grandi firme e i grandi maestri, ma non si può pensare che tale mondo possa rinunciare per questo a rinnovarsi tramite nuove firme, e quindi nuove idee e nuova linfa che possa fecondare un terreno un po’ inaridito.

Se invece il metro è quello di prendere i giovani per collaborazione estern per dargli 10 euro a pezzo, la vedo difficile. E quindi non ci si può impressionare se poi il lettore medio sotto i 30 anni in Italia non legge i quotidiani o li sente lontani da sé e poco utili.

A questo aggiungerei che inserire la lettura dei quotidiani, almeno una volta a settimana, in classe, sarebbe non solo utile, ma formerebbe una classe di lettori del domani. Se non lavoriamo per investire sui lettori giovani che sono “gli italiani del domani”, come possiamo pensare di sopravvivere…?

Vittorio Sabatin nel libro “L’ultima copia del New York Times” spiega come secondo i calcoli di Philip Meyer, studioso dell’editoria americana, l’ultima sgualcita copia su carta del “New York Times” sarà acquistata nel 2043. La crisi di vendite che affligge i quotidiani da una ventina d’anni lascia pensare che la previsione sia realistica, se non addirittura ottimistica. Eppure, nell’ultimo capitolo del Suo libro, “L’Italia del bello scrivere”, Lei fa intendere come i dati dichiarino un declino del digitale (-15,9%) rispetto al cartaceo (+9,2%) in Italia. Tuttavia, Lei spiega che i giornali all’estero hanno saputo reinventarsi. Chi ha avrà ragione secondo lei?

Io non credo e, mi perdoni, mai crederò all’estinzione della carta. Mi capita frequentemente di girare l’Italia per la promozione dei miei libri e di trovare sempre, anche molti giovani, che amano ancora l’odore della carta del libro appena edito o che manifestano la preferenza di leggere una rivista su carta.

Il digitale ha una buona diffusione e ormai è essenziale, anche io che leggo tutte le mattine una media di quattro o cinque quotidiani, di questi, due, per abitudine e per praticità, li leggo tramite tablet e abbonamento on line. Girando spesso, e avendo la “malattia della rassegna quotidiana” appena sveglia, trovo utilissimo e comodo avere alcuni giornali principali disponibili subito e in qualsiasi posto. Però poi scendo all’edicola quando sono a casa a Roma, o cerco un giornalaio ovunque sia in Italia, per leggere su carta gli altri due o tre quotidiani che prediligo ogni giorno, perché il vero lettore non sa rinunciare all’odore del giornale della mattina o alla bellezza del fruscio delle pagine, non può rinunciare a stringere la copia tra le proprie mani.

E come me, per fortuna, ancora i molti condividono queste sensazioni.

La prova l’abbiamo del resto dalla sfera degli e-book. Un esperimento che gli stessi editori, per problemi di costi elevati con la carta, hanno provato con determinazione a spingere solo qualche anno fa, ma che a breve ha dimostrato che, per quanto siamo nell’epoca del digitale, in larga parte, un buon libro è ancora letto preferibilmente nel formato di carta.

Credo sia non solo un problema di fascino e romanticismo da lettore, piuttosto la scienza ci supporta. Un recente studio americano ha provato infatti che ciò che leggiamo dall’oggetto libro viene recepito più in fretta e memorizzato in maniera migliore e più a lungo per un fatto di percezione del cervello. Poi trovo, personalmente, che la vista faccia meno fatica a leggere su carta anziché su pc o tablet. Io, ad esempio, posso leggere 100 pagine cartacee nel tempo in cui leggo 20 pagine digitali!

Credo quindi che il lettore accanito, che molto legge, tende sempre a preferire la carta, mentre il digitale resta relegato ad un lettore molto giovane e/o comunque a colui che legge poco. E del resto, ripeto, i dati di vendita e-book, anche di uno stesso libro, danno testimonianza che si legge di più il formato cartaceo.

Si parla spesso di post-verità, fake-news. Ai tempi in cui era possibile informarsi unicamente tramite i giornali, il filtro del bravo giornalista impediva che questo genere di notizie trapelassero e si diffondessero con la stessa rapidità con cui si diffondono oggi tramite i social network.

Si sta ancora dibattendo su quali siano le regole e le tecniche da adottare per impedire che le false-verità siano messe sullo stesso livello delle notizie verificate da fonti certe.

Alcune testate si sono autoregolamentate, con una sorta di carta dei doveri, all’insegno del fact checking. So che è una domanda che ancora forse non ha risposta, ma come pensa sia possibile diminuire il diffondersi di questo genere di pseudonotizie attraverso la rete? C’è un antidoto o quanto meno un metodo per difendersene?

Difficile, forse impossibile, trovare una soluzione o individuare un antidoto. Con la fruizione così varia e rapida, anche dei social network che a loro volta rilanciano notizie da altri siti, è davvero difficile. Forse uno strumento di difesa di buona qualità può essere quello, semplice e antico ma probabilmente ancora valido, del verificare la fonte, ossia valutare prima di tutto l’attendibilità della testata che la comunica o della firma che la mette in circolo.

 

L’Italia del “bello scrivere” 
Storie di giornalismo dalla Terza pagina ad oggi 
MINERVA 

 

 

 

America Urban BBQ; Street California Milano

Negli Stati Uniti il barbecue è un culto della gastronomia, un punto di riferimento per assaporare il meglio della cottura lenta della carne, il barbecue ha una lunga storia è l’essenza americana del sapore del cibo cotto alla griglia.

Il barbecue ha molte tecniche di cottura e variate ricette, il BBQ parte da un processo di affumicatura e ordina una cottura lentissima, che può spingersi oltre le 4 ore a fuoco mediato, sul fuoco grossi pezzi di carne, o ali di pollo che si impregnano in puro piacere, grazie all’effetto aromatico del fumo.

Barbecue e grigliare ovviamente non sono la stessa cosa, c’è una distinzione che negli Stati Uniti d’America, che fa tutta una differenza; tempo e temperatura.

Ronald Marx, è il fondatore di Urban BBQ di Milano, la via non poteva certo smentire la sua arte, “ Via California”, una risata rassicurante, e al via con un format che propone una cucina home-made all’insegna della convivialità, tipica del barbecue all’aperto tra amici.

Un menù a base di pollo, succoso dalla pelle croccante, marinato a lungo nella salsa e cotto alla griglia, da mangiare rigorosamente con le mani, le salse (hot/ super hot/ affumicata e bbq). Zuppe di stagione, chili con carne un classico diffuso su tutto il continente, la vera cesar salad, e poi alta gustosa e soffice la New York Cheesecake, e ancora i supreme brownies al cioccolato, i dessert sono ricchi dalla porzione al gusto, tutto rigorosamente preparato come tradizione casalinga, il fritto e bandito.

Si ordina al banco ma è usuale negli USA, quindi niente lamentele inutili, non c’è servizio al tavolo, si paga, si ritirano le bevande, e ci si accomoda al tavolo, quando il vostro ordine è pronto un disco luminoso che vi è stato consegnato al momento dell’ordine inizierà a suonare interagendo in maniera simpatica con voi, et voilà tutto arriverà in un baleno.

Lo stile del locale è simbolico, rustico e spartano, due sale ad accoglierci e il bancone fulcro delle attività. Con l’arrivo della bella stagione si potrà accomodarsi nel dehors esterno.

L’idea sostenibile

Tutti i contenitori sono biodegradabili, la cura e il rispetto dell’ambiente è fondamentale per allevare in salute gli animali. Per gli amanti del genere non mancheranno eventi country, musica e menù speciali.

L’offerta è rivolta anche ai più piccoli con menù speciali per le famiglie, Inoltre, si potrà ordinare tramite le app di Just Eat, Deliveroo e Glovo.

Mano al portafoglio

Spenderete in media 10/25 € a persona incluso bevande.

Indirizzo: Via California, 15, 20144 Milano MI
Orari: Chiuso ⋅ Apre alle ore 18

Telefono: 02 4963 4514

Kitchen Society: Why Italian sushi?

Lo sapevate? Il sushi non è solo nipponico, ma esiste a Milano una versione tutta italiana, dove? Al Kitchen Society, se poi siete “sushi lover” il pasto sarà sorprendente. Al comando in cucina c’è Alex Seveso, patron e cuoco, e una grande passione per il suo lavoro, passione che trasmette in unici sushi all’italiana, che conquisteranno i vostri palati.

Kitchen Society

Ecco allora una cucina fatta di abbinamenti con materie prime italiane che creano specialità, si appunto non il solito sushi,  olio extravergine d’oliva, capperi di Pantelleria, pistacchio di Bronte, tartufo bianco, erbe, spezie mediterranee.

Rustico e accurato locale, infatti è ricavato da un loft su due livelli, dove le ampie vetrate su strada lo rendono luminoso, insieme ai richiami dei colori tenui dell’arredamento, vi piacerà il dehor estivo è sempre piacevole accomodarsi all’aria aperta, soprattutto nell’intimità di una via dove regna la tranquillità.

Tra le specialità immancabile c’è il Nigiri rocher, gamberone bruciato al pepe, con granella e crema di pistacchio. Si fanno apprezzare gli imperdibili uramaki; capesante, tonno, crema e granella di pistacchio di Bronte, avocado, emu, salsa teriaky, e semi di sesamo. E ancora, seppia croccante, zucchine, salsa tonnata, coriandolo, emu, salsa teriaky, e semi di sesamo.

 

 

 

 

Sopra ogni cosa vi innamorerete del Totanetto scottato ripieno di riso con peperone su purea di fagioli cannellini al vino bianco.

Totanetto

 

Kitchen Society è un piacere tutto da scoprire, entrerete subito in sintonia con la voglia di un sushi dei vostri gusti; si ma italiano.

Buono a sapersi

Le proposte che non ti aspetti, “risotti fusion” a base di chicchi giapponesi non mantecati e declinati in tante maniere, come la versione gialla allo zafferano a quella con gamberi, avocado e peperoni, e crema di tartufo bianco, e ancora polpo con cavolo cappuccio, avocado, acciughe, parika. Segnaliamo l’insuperabile Pata Negra de Bellota, rigorosamente tagliato al coltello, e servito in tre varianti goderecce, questa è una chicca che veramente non ti aspetti.

 

 

 

Mano al portafogli

Spenderete a persona bevande incluse 50 euro. Inoltre ha un’interessante carta dei vini con referenze particolari.

 

Pata negra burger

 

 

 

 www.kitchensociety.it

Kitchen Society
Via Gerolamo Chizzolini 2
20154 – Milano
Tel. 340.6763939
Chiuso domenica e al pranzo di sabato
Orari cucina: 12-14.30/19.30-23.30

Cova E Bocelli: Il Bagno Alpemare Diventa Protagonista con Cova

I prodotti artigianali della storica pasticceria meneghina saranno disponibili a Forte dei Marmi nello stabilimento balneare Alpemare della Famiglia Bocelli, una carta Dessert ideata per deliziare i palati di una estate 2019 alla soglia del gusto: quello dolce.

 

Un corner sarà dedicato ai selezionati prodotti di pasticceria artigianale, (cioccolatini, lievitati, prodotti da forno), un trionfo di bontà nel rispetto delle tradizioni Cova, il packaging riprende le tinte turchesi dell’elegante struttura Alpemare.

 

Cova Alpemare

 

Il Bagno Alpemare è un bijoux della Versilia, è proprio grazie alla Famiglia Bocelli, che ha ripreso vita in un aspetto tutto nuovo, lo storico stabilimento balneare ha rappresentato da sempre una meta amatissima da grandi personaggi come: i poeti Montale, Ungaretti e D’Annunzio, cantanti, da Edith Piaf a Mina e Ray Charles, Forte dei Marmi e il bagno Alpemare regalano momenti di charme in qualsiasi occasione. Gli oltre due secoli della Pasticceria Cova simbolo di eleganza e di qualità, portano un valore aggiunto, consolidando questa cooperazione in un crescendo di qualità e gusto.

Cova Alpemare

Paola Faccioli, CEO di Pasticceria Cova, nel commentare l’iniziativa dichiara: «Siamo orgogliosi che la Famiglia Bocelli abbia scelto Cova come partner privilegiato di un progetto così prestigioso. La creazione di una Carta Dessert dedicata, in linea con l’offerta gastronomica d’eccezione del ristorante, è stata una sfida che abbiamo accolto con grande entusiasmo e grazie alla collaborazione con Alpemare portiamo per la prima volta la tradizione e l’artigianalità dei nostri prodotti in riva al mare, così gli ospiti possono unire la dolcezza al relax e al riposo estivo.»

Oscar Quagliarini Si Racconta In Una Dettagliata Intervista

Si sta sempre più diffondendo la voglia di andare a degustare un cocktail, notando le differenze perché ci si è recati in un determinato bar, o dal vostro bartender di fiducia che è diventato un punto di riferimento, come la scelta di mangiar bene e di qualità recandosi appunto nel ristorante di fama.

L’arte di miscelare i cocktail è la chiave del successo di ogni bartender, complessi, di tendenza, o che rispettano l’etichetta, il mondo dei cocktail influenza diversi momenti di piacere che attivano i sensi.

La domanda è? dove bere il drink migliore? Chi sarà il bartender più cool? per essere sempre informati sui cocktail di tendenza, e sul bartender più in voga del momento a Milano, abbiamo incontrato Oscar Quagliarini , uno dei più celebri bartender della sua generazione.

 

Viaggi, aromi, contaminazioni, che si tuffano trasformandosi in sapori inediti nei suoi cocktail. In ogni esperienza in giro per il mondo Oscar Quagliarini ha saputo cogliere il miglior dettaglio e trasformarlo nella sua versione singolare.

Lo abbiamo incontrato in occasione della preview di collaborazione che firma il nuovo menù cocktail de Il Bar, lounge bar e caffetteria sulle terrazze di Rinascente Milano e Palermo.

 

Ecco i tratti distintivi che lo caratterizzano.

I profumi influenzano i suoi cocktail, l’odore perfetto che passa dall’olfatto al gusto e viceversa, dunque quando immagina una fragranza ha già in mente il tipo di cocktail da voler sperimentare? nasce prima la fragranza come musa, o non ha una regola?

Ciò che nasce come prima cosa è il drink. Solo dopo creo la relativa fragranza da abbinare. In questa fase decido il ruolo dell’olfatto, se creare un entree, un continuum o un contrasto.

Se le dico cocktail, quali sono le tre parole che le vengono in mente portando la sua firma?

 Less is more olfatto semplicità e gusto.

Gioco tanto sull’olfatto. In realtà i miei drink sono molto semplici, non superano mai i 4 ingredienti, spesso ne hanno solo 2 0 3. Faccio molta attenzione al gusto e alle bevibilità del drink in maniera tale che il consumatore sia invogliato a berne più di uno e magari a provarne 2 o 3 differenti nella stessa occasione. Questo è possibile perché i mie drink sono sempre semplici, nonostante la ricerca e l’elaborazione attentamente studiate, tanto che il consumatore riesce a distinguere e apprezzare tutti gli ingredienti della ricetta. Per me è una questione imprescindibile, evitare accuratamente le creazioni con troppi ingredienti o con eccessive alterazioni della materia prima. Per me, davvero, lessi s more.

A breve la Drink list del Bar, il cocktail bar nella Food Hall di Rinascente Milano, porterà la sua firma, qual è la versione di Oscar Quagliarini che ha voluto disporre?

Ho creato una speciale lista cocktail traendo ispirazione dalla lunga storia di Rinascente. Ogni cocktail ha una particolare connessione con il piano di riferimento, ad esempio con la profumeria, con quello dell’uomo casual, del luxury donna ma anche con il mondo food al settimo piano proprio dove è situato il Bar.

Food and beverage pairing incomincia ad essere un nuovo stile di bere, qual è lo scopo far diventare la mixology una alternativa al vino di degustazione? Qual è il suo parere a riguardo?

Secondo me assolutamente no, ad esempio, io mangio bevendo vino. La gente non capisce ancora come affrontare il il food pairing. Personalmente ho avuto 3 occasioni con chef importanti: due con Stefano Ciotti del Nostrano di Pesaro e una al Postrivoro con lo chef Emilio Macias di Astrid y Gaston Acurio in Perù. E’ un lavoro davvero complesso, infatti occorre tenere conto che gia il piatto ha una struttura e numerosi ingredienti, di conseguenza il drink da abbinare deve essere semplicissimo e a bassa gradazione alcolica. Le tre cene sono state un successo, ma non nego che per creare le ricette ho dovuto lavorare veramente tanto.

Non a caso la facciamo a lei questa domanda, quando non lavora dove beve un ottimo drink Oscar Quagliarini?

In realtà io solitamente non bevo drink. Bevo solo orange wine e vini naturali. Nelle occasioni in cui ho voglia di un drink solitamente vado sul classico, per esempio scelgo il Martini Cocktail o il Negroni per l’aperitivo mentre il Gin Rickey in serata. In particolare il Martini Cocktail è un’arte, mi piace molto quello da Spaccio Spiriti Alimenti a Senigallia mentre a Milano all’Elira, da Toel a Pigato e da Luca Vezzali da Ugo.

Un’ultima domanda. Diverso è essere ?

Per differenziarsi è necessario essere sé stessi: creare una propria identità nel fare da bere evitando il copia e incolla e di seguire le mode cambiando continuamente il proprio stile. Differenziarsi significa essere coerenti. Alle scuole medie seguivo e imitavo il mio compagno di classe Michele. Un giorno mio padre venne chiamato da collegio perché indossavo una maglietta di Che Guevara e in quell’occasione mi fece un discorso che mi è rimasto dentro sull’importanza di avere una propria personalità. Allo stesso modo mio fratello per me è stato un esempio, per un periodo lo ho seguito molto e a lui devo tanto della mia creatività in quanto è un vero artista e sono contento, nel mio piccolo, di potermi considerare anche io, nel mio piccolo, “un artista”.

 

Grazie Oscar Quagliarini

Chef E Green 2019

L’inaugurazione di Chef in Green 2019 ha preso il via nel suggestivo Castello di Tolcinasco, Golf Club d’eccellenza, la quinta edizione riconferma il successo della kermesse, un percorso itinerante che vuole consegnare ai nostri occhi, e al nostro palato la prospettiva di un percorso enogastronomico in evoluzione- tutto insieme al gioco del golf.

Lunedì 29 Aprile oltre 35 chef che si alterneranno negli incontri e nelle cene itineranti, mettendosi in discussione affrontandosi da diverse abilità, è lecito aspettarsi qualcosa in più, siamo soddisfatti di quello che si è visto in campo, gli chef hanno dato del loro meglio alla conquista della buca migliore. A seguire la seconda partenza degli chef, si primeggia in cucina con una serie di prelibatezze che formano una cena gourmet davvero importante.

Roberta Candus, direttore di Golf & Gusto è l’ideatrice e la conduttrice del meeting, conoscitrice della cultura enogastronomica ha reso possibile anno dopo anno la realizzazione di ogni tappa all’interno dei più belli ed esclusi golf club del panorama, coinvolgendo tantissimi grandi nomi delle cucine più autorevoli che si sono sfidati sui green più esclusivi d’Italia, “il gioco del golf fa squadra”, insieme alle ultime novità di Claudio Gatti ed i suoi dolci della via Francigena e Giuseppe Verdi, in una presentazione show di alcuni produttori che seguono questi interessanti appuntamenti.

Chef in Grren si occupa di regalare emozioni attraverso la pura esperienza del gioco, per poi giocare di gusto in cucina, presenti gli Chef stellati Claudio Sadler, Tano Simonato e Felix Lo Basso rivali con i loro ferri da golf, in campo anche Marc Bernardi, chef emergente che cucina a 2000 metri in Val Gardena.

In cucina troviamo chef Giuseppe Lo Presti del ristorante Il Casale, consigliato nella guida Michelin 2018 e Cristian Benvenuto, chef e patron del ristorante La Filanda a Macherio, e poi due new entry ristoranti milanesi Gianluca Rosano del Otivm e Pasquale Frigoli del Bistruccio, mentre con un piatto molto primaverile Sebastian Fitarau della Locanda Sensi di Rivergaro porterà in tavola le novità dell’Eccellenza Ellenica.

“Seduzione”, il pastry-chef Nicolò Moschella, considerato tra i nomi emergenti della pasticceria moderna e premiato come Top Italian Talent Chef 2018.

Gli chef giocano a coppie, “neofiti” e “golfisti”, e possono avvalersi di supporter, golfisti non-chef che partecipano o seguono il gioco. Alla fine di ogni singola gara i partecipanti chef o professionisti accumulano punti, alla fine del torneo chi raggiunge il punteggio massimo viene proclamato vincitore della Chef in Green

 

Menu degli autori della serata

Giuseppe LoPresti- chef  Il Casale di Grimoli, Toscana: “terrina con fegato di coniglio, in arrosto morto, panima arentina, mousse al lardo di Colonnata, coulis di lamponi.

Cristian Benvenuto- chef patron ristorante La filandra, a Marechino: gelato all’olio extravergine d’oliva Zenia con tartare di manzo.

Sebastian Fitarau- chef ristorante la Locanda Sensi, Rivergaro: pasta della Grecia antica, ortiche e menta con asparagi e pecorino.

Gianluca Rosano-chef ristorante Otivm, a Milano: Ravioli cacio e pepe, bottarga di gamberi

Pasquale Frigoli- chef Bistruccio, a Milano: filetto di rombo, plancton nero di seppia e piselli novelli.

 

 

 

 

 

 

 

 

www.chefingreen.it

C-Style, La Cucina del Sichuan Un Concentrato Di Sapori Piccanti

C-Style presenta la cucina del Sichuan piena di gusto, mette insieme i pregi delle altre cucine cinesi, dal nord al sud, l’effetto è la vera tradizione cinese, come il detto che non si smentisce; “mangiando in Cina il vero gusto si trova nel Sichuan”.

La tradizione culinaria del Sichuan è tipica della regione della Cina sudoccidentale, si contraddistingue per la tendenza dei sapori forti, sapidi e principalmente piccanti, tutto si riconduce all’utilizzo del peperoncino, zenzero, e il noto “pepe del Sichuan.

Diverse le ricette e diverse le preparazioni, troviamo una forte presenza nella cultura locale del Sichuan dell’utilizzo delle arachidi, pasta di sesamo, germogli di bambù e funghi. I metodi di cottura vedono l’utilizzo della frittura in padella, lunghi brasati, e la cottura a vapore. Di fatto la cucina del Sichuan offre un’esperienza di sette sapori di base: acido, piccante, pungente, salato, dolce, amaro ed aromatico.

 

C-Style, La Cucina del Sichuan

 

Accogliente, ben curato nei dettagli, come la singolare tettoia che ti accoglie all’ingresso come quelle che un tempo adornavano gli accessi di una casa ricca (ora di nuovo di moda per le case di campagna delle famiglie più benestanti).

Nulla è lasciato a caso sedie, tavoli, lampadari e accessori ripropongono fedelmente il tipico arredo della Cina del Sud di 150 anni fa. Così come i lavelli in ceramica del bagno. Fa scena il Gu Zheng, antico strumento simile a una cetra, un tempo suonato dalle orchestre alla corte dell’imperatore, che appartiene da diverse generazioni alla famiglia di uno dei titolari. Ogni ultimo mercoledì del mese una musicista professionista intrattiene gli ospiti suonandone le sue note.

 

C-Style, La Cucina del Sichuan

 

C-Style è tutto un programma, una new entry che arricchisce Milano di un ristorante decisamente interessante, dove poter provare veramente la cucina cinese del Sichuan autentica. Aspettatevi il piccante, il molto piccante, al molto molto piccante, gli amanti del genere lo adoreranno, ovviamente le pietanze presentano tutte l’aroma caratteristica del pepe del Sichuan che gli conferisce un retrogusto che addolcisce.

Alcuni piatti speciali dello chef: Costolette di agnello (con vari peperoncini secchi e verdi). Stinco di Maiale in salsa marrone, la Rana saltata in padella con pollo in salsa di peperoncino rosso, il Pesce arrosto C-Style (con verdure sotto aceto e salsa segreta piccante).

Antipasti Tofu con uova di cent’anni, Trippe bollite e tritate con salsa di peperoncino piccante, il Collo d’anatra al Supergusto (una salsa marinata con olio e pepe verde, il Manzo con aceto e pepe. Tra le portate principali Coniglio in salsa di peperoncini piccanti, Vermicelli saltati con maiale macinato piccante, Stufato di rana con verdure piccanti.

 

 

Intestini di maiale brasati con salsa di soia, Pancetta fritta in brodo con centrifuga di zucca e il riso saltato C-Style (due tipi di riso con salsa ai frutti di mare e gamberi). E ancora molti piatti per vegetariani, dal Taro alla piastra alla Zuppa di tofu con verdure, così come le hot pot, pentola calda dove cuocere direttamente gli ingredienti (dalla testa d’anatra alle zampe di maiale, dalle ali di pollo ai funghi dell’albero del tè) in un brodo più o meno piccante e speziato.

 

Curiosità

Il pepe del Sichuan contrariamente al suo nome non ha un sapore pungente, ne tantomeno piccante. Dona alle pietanze un sapore delicato che ricorda quello del limone. Dei grani del pepe del Sichuan vengono scartati i semi ed utilizzati solo i gusci esterni, che sono sottoposti a tostatura e macinatura.

Usi

Il tè è parte integrante della quotidianità di ogni cinese, ad oggi c’è una varietà molto apprezzata per accompagnare le pietanze, il profumatissimo te al grano, ha una aroma dolce con sentori di frutta secca.

Mano al Portafoglio

I prezzi sono democratici, variano dai 6 ai 16 euro a portata, quindi in media spenderete da 20/30 euro a persona incluse bevande. Rapporto qualità prezzo assolutamente promossa.

 

 

C-Style sarà uno spazio esperienziale dove gustare una cucina non convenzionale, tutto ha un suo carattere di gusto, la materia prima è di qualità, non vi basta altro che trovare la compagnia giusta.

C-Style – Milano, via degli Imbriani 1

Tel. 02/36.53.22.87 chiuso lunedì

PANINO GIUSTO AL PRIMO PIANO IN PIAZZA CORDUSIO; LOCATION D’ECCEZIONE E PATERSHIP CON YAMAMAY

Sarà Caterina Ceraudo a firmare il lancio entrando nel menu “Maestri con il panino”, Petelia è stato il primo panino ad ispirare tutto il resto. Calabrese di origine omaggia la sua terra con la scelta delle materie prima.

Mercoledì 18 Aprile, siamo in Cordusio quadrilatero pulsante di una Milano che non dorme mai, palazzi storici, prestigio, popolarità, un rodaggio di break tutto nuovo per il celebre marchio. Parte tutto dalla posizione non più su strada, 450 mq complessivi, distribuiti tra via Cordusio, via Casati e Via Santa Maria Segreta, il locale è visibile all’esterno da 5 grandi vetrine al primo piano e relative insegne su Via Cordusio, 11 vetrine su Via Casati ed una, splendida, su Via Santa Maria Segreta.

L’accesso al locale è situato sia da Via Cordusio, che da Via Casati e Santa Maria Segreta, e prevede l’ingresso nel negozio Yamamay, partner dell’iniziativa.

 

Il Panino Signature

Petelia, Capocollo, insalatina di campo e agrumi canditi, cipolla di Tropea marinata in aceto di lamponi e stracciatella, il tutto racchiuso in un pane speciale ottenuto da grano tenero Verna, antica varietà coltivata nella Sila catanzarese a 1300 metri d’altezza da almeno 60 anni, il cosiddetto “grano di montagna”.

 

Elena Riva, Presidente di Panino Giusto, dichiara: “Abbiamo coinvolto Caterina Ceraudo perché con questo locale inauguriamo un percorso sull’incoraggiamento del talento femminile e Caterina ci è sembrata, per la sua classe e la sua determinazione a fare e fare bene, una grande ambasciatrice delle donne della ristorazione; di lei apprezzo molto il “give back” che sta facendo alla sua comunità e al suo territorio”.

L’idea in più

L’aperitivo si fa buono, o la cena ricca di panini elaborati come piatti gourmet, non manca nulla, e per un aperitivo deluxe il banco vi da il benvenuto con un nuovo inizio, la scelta rimane una vera esperienza in un mood da lounge bar.

 

Caterina Ceraudo



Classe 1987, Caterina Ceraudo è alla guida della brigata di Dattilo, il ristorante di famiglia che vanta una stella Michelin, la giovane chef ha già in curriculum di premi e riconoscimenti importanti, come quello di Migliore Chef del 2016 per la Guida di Identità Golose, quello di “Chef Donna” guadagnato l’anno successivo per la Guida Michelin. Sempre nel 2017 diventa Ambasciatrice Illy ed entra a far parte dell’Atelier des Grandes Dames, network ideato dalla Maison de Champagne Veuve Clicquot, per sostenere i talenti femminili dell’alta ristorazione che hanno saputo affermare con passione la loro imprenditorialità e il loro stile professionale e, infine, il premio “Miglior Chef Under 35” dei Food Community Awards assegnatole nel 2018.

 

 

La sua è una cucina equilibrata e leggera, una missione che può apparire paradossale in Calabria, ma solo all’apparenza. È semplice, pulita, creativa. La sua filosofia è la riscoperta del territorio calabrese con un accurato controllo di filiera, rispettando il cibo e la sua provenienza naturale, dalla nascita e crescita di ogni ingrediente fino alla sua trasformazione nel piatto. Utilizza pochi elementi, cercando di esaltare i sapori semplici, con una spiccata componente vegetale che in molti piatti diventa la parte dominante della ricetta.

 

http://www.paninogiusto.it 

AGUA SANCTA: Il Locale Per Gli Appassionati Della Cucina Messicana

Piatti, tequila, Mezcal, ingredienti, per conoscere meglio la cucina messicana; un indirizzo già noto è Agua Sancta mexcaleria, andiamo alla scoperta di un paese con radici profonde delle tradizioni a tavola, lo street food è uno dei pezzi forti, sicuramente Agua Sancta potrà portarvi dentro le abitudini a tavola dei Mexicani, con qualche imput in più, quale? Ve lo racconto.

Tutto inizia dall’idea di Fabio Morelli bartender, e giovanissimo imprenditore, lavora con professionalità e rigore, e col sorriso in bocca, lui e tutti i componenti e vi garantisco che non è scontato…

Pranzo, aperitivo, cena, la parola d’ordine è Mexico che passione. Il menu food & drink da solo è capace di dare le giuste motivazioni per farci un salto, per gli amanti delle tortas assaggerete “Tortas con Carne al pastor, ananas, cipolla e maionese al chipotle, o ancora tacos a base di tilapia marinata nel lime e chile ancho, con salsa al mango e crescione d’acqua, o come il tacos con pollo e salsa tomatillo, guacamole, nachos, insalate e un alternativa molto sfiziosa di aguachile, proposto nella sua versione con i gamberi rossi di Mazara.

 

L’emblema rimangono i distillati a base di agave, tequila e mezcal, con una drink list interessante suddivisa in tre sezioni: hot drinks, signature cocktails ed una parte esclusivamente dedicata ai Margaritas.

El Clavo” un drink dove la tequila viene unita a the earl grey, zucchero e lime.

Sexy Moscow, la versione calda del Moscow Mule.

Banana Joe, tequila infusa alle foglie di banana e sciroppo di espasote.

Gringoa base di barbou.

Il Suave con vodk.

Big Bamboo, con il rum.

Cilantro gimlet con gin Hendrick’s, lime, cetriolo e coriandolo.

 

 

La signature list

El vejo, con negroni riposato in botte, unisce il mezcal al

Campari antica formula, il Montanaro, mix tra l’Amaro Braulio e la tequila.

 

Le varianti del Magarita:

Mezcal Margarita. Pomelo con tequila agli agrumi e pompelmo, o il Caliente, piccante,

a base di tequila Don Julio bianca, tequila infusa all’habanero, triple sec e lime.

 

 

New entry estive

Sunset (Martini Bianco, Lychees, Pompelmo, Menta e Prosecco),  tra i  margaritas  I’m Blue (Tequila Don Julio alla lavanda, Limone, Zucchero, Albumina), e i diversi tipi di sangria.

 

Buono a sapersi

Novità della stagione il brunch della domenica, il suo dehor all’aria aperta è un valore aggiunto per gli amanti dell’atmosfera messicana. Piatto, frutta, un dolce un caffè e bevande no limits. Costi del brunch: 25€ con analcolico, 30€ Drinks by Don Julio, 35€ Vino / Bollicine.

 

Agua Sancta una tappa che racconta un Messico contemporaneo. Ci piace!

 

 

Agua Sancta

Corso Garibaldi, 110 – Milano

Martedì – Domenica 18:00 – 2:00 – Chiuso il lunedì

Info e prenotazioni: +39 3755350033