Se mamma e papà si fossero impegnati a farmi nascere più alta…!!!

Quante volte avremmo voluto misurare anche solo qualche centimetro in più…si donne…in particolare scrivo proprio a voi…magari per sentirci più attraenti senza sopportare il dolore di vertiginosi tacchi.

Purtroppo, ad una di noi, il desiderio di essere più alta di 160 cm. non è stato animato da una così futile ragione bensì dall’esigenza di ottenere un posto di lavoro che le permettesse di sostentarsi.

Questo è il caso di una donna candidata alla procedura di assunzione di personale con qualifica di Capo Servizio Treno a seguito di un bando emesso dall’azienda Trenitalia, tuttavia esclusa per deficit staturale.

Giunti in Cassazione, il giudice di legittimità non ha potuto far altro che confermare quanto già deciso in grado d’appello.

Infatti la Suprema Corte ha disposto che il limite staturale di 160 cm., indicato quale requisito indispensabile nella suddetta procedura di assunzione del personale, costituisca una discriminazione indiretta, in quanto “non oggettivamente giustificato né comprovato nella sua pertinenza e proporzionalità alle mansioni” di Capo Servizio Treno.

Pertanto, la summenzionata discriminazione indiretta è semplicemente fondata sul sesso e, purtroppo, noi donne siamo consapevoli che gli uomini molto spesso superano con “facilità innata” quel limite di altezza che molte di noi a stento riescono a raggiungere a piedi nudi.

Infatti la Corte, a sostegno di quanto suesposto, ha inoltre evidenziato che
allorquando una norma secondaria preveda una statura minima identica per uomini e donne in quanto presupponga la non sussistenza della diversità di statura riscontrabile, ictu oculi, tra i due sessi comportando, per l’effetto, una discriminazione indiretta a sfavore di queste ultime; il giudice ordinario incidentalmente ne apprezza la legittimità ai fini della disapplicazione valutando la funzionalità del requisito richiesto rispetto alle mansioni da doversi svolgere.

Tanto più che, nel caso di specie, l’azienda non ha assolto il proprio onere probatorio dimostrando la rigorosa rispondenza del limite staturale alla funzionalità ed alla sicurezza del servizio da svolgere avallando la necessità di una congrua giustificazione della statura minima in riferimento alle mansioni comportate dalla succitata qualifica.

Quindi donne, è ad oggi chiaro anche grazie all’intervento della nostra Suprema Corte come non sia necessario misurare 160 cm. (al pari dei nostri uomini) per poter assolvere al meglio le mansioni di Capo Servizio Treno.

Cosa servirebbero tanti centimetri in più per perlustrare il treno prima della partenza, disporre la chiusura delle porte e segnalare il via libera al macchinista del treno, controllare il possesso e la regolarità dei biglietti da parte dei passeggeri, timbrare i biglietti, fornire informazioni sugli orari ai passeggeri, disporre l’accensione e regolare le luci, il riscaldamento e l’aria condizionata, compilare rapporti sull’andamento del viaggio e sull’affollamento del treno, intervenire nel caso di comportamenti inopportuni da parte dei viaggiatori e segnalarli alla polizia ferroviaria nei casi più gravi…tutto fattibile anche con un’altezza di 158 cm..

Dott.ssa Silvia Giovanna Martini

Studio Legale Franzetta Dassano

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AVVOCATO E OPERATORE LEGALE NEI PROCESSI PER I RICHIEDENTI ASILO

Le associazioni e le società sono ammesse a presentare proposte progettuali per quel che riguarda la questione dell’ accoglienza dei profughi. Gli enti locali proponenti si impegnano ad attivare servizi finalizzati all’accoglienza per raggiungere i seguenti obiettivi ai sensi dell’art 3 D.M 27/04/2015.

Per prima cosa devono fare collocamento in un luogo sicuro delle persone, devono avere supporto di mediatori linguistico – culturali, devono dare assistenza socio-psicologica e devono dare un orientamento legale. Infatti il manuale SPRAR stabilisce che gli enti locali (associazioni o società) che si occupano dei servizi di accoglienza devono avere a disposizione un operatore legale che sia un professionista del diritto che seguirà le procedure dinanzi alla Commissione di valutazione delle domande dei richiedenti asilo.

In tale fase non è necessario essere assistiti da un avvocato.

L’art 30 del D.M 10/08/2016 stabilisce che i servizi di accoglienza dello SPRAR hanno come obiettivo principale la conquista dell’autonomia individuale dei richiedenti protezione internazionale.

In effetti l’accoglienza integrata è costituita dai servizi garantiti obbligatori come l’orientamento e l’accompagnamento legale. L’operatore legale che può essere un avvocato o un professionista di diritto deve garantire l’orientamento e l’informazione legale sulla normativa italiana e europea in materia d’asilo.

Quello che sembra essere il punto più importante è garantire anche l’informazione sui programmi di rimpatrio assistito o volontario in caso di esito negativo della procedura legale per ottenere lo status di rifugiato. In tale caso è ritenuto possibile l’eventuale presentazione del ricorso avverso la decisione della commissione.

Se si fa riferimento alla Convenzione di Ginevra del 28/07/1951 ratificata da Italia con legge 24/07/1994 n.722 lo status di rifugiato deve essere riconosciuto qualora lo straniero abbia subito la violazione dei diritti umani fondamentali o abbia il fondato timore di essere personalmente perseguitato nel paese di origine.

In tale ottica chi intende chiedere il riconoscimento del predetto status deve provare il pericolo cui andrebbe incontro con il rimpatrio non essendo sufficienti le dichiarazioni dell’interessato.

In virtù di tale presupposto si deve ritenere che la figura legale che deve affiancare il richiedente nel suo percorso debba necessariamente essere quella di un avvocato preferibilmente con esperienza già maturata in diritto dell’ immigrazione e non un semplice operatore legale.

Il diritto di asilo deve intendersi non tanto come un diritto alla permanenza e alla protezione nel territorio dello Stato quanto piuttosto come diritto dello straniero di accedere allo status di rifugiato politico. Il ricorso dello straniero avverso il provvedimento di diniego all’ asilo politico emesso dalla Commissione necessita della presenza di un avvocato.

Inoltre le controversie che riguardano il diritto di asilo rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario trattandosi di diritti soggettivi. In tale evenienza il richiedente asilo non può stare in giudizio senza essere rappresentato da un Avvocato.

La disciplina sullo status di rifugiato, invece, espressamente prevede la giurisdizione del giudice amministrativo. Per le questioni presentate alla Commissione Amministrativa è sufficiente la figura dell’operatore legale cosi previsto dallo SPRAR.

Dott.ssa Elena Hoxha

Studio Legale Franzetta Dassano

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“La botte piena e la moglie ubriaca”

Da qualche tempo anche nel Nord Italia si assiste al proliferare di Terrazze a livello, i cosiddetti Attici, nelle costruzioni signorili. Gli attici sono tipici dell’Italia centro meridionale dove, per la mitezza del clima, corrono meno rischi di danneggiarsi.

E’ tanto bello crogiolarsi al sole mentre si sorseggia una bibita sul terrazzo della propria abitazione all’ultimo piano di un condominio e contemporaneamente godere della vista di un bel panorama quale quello che si può ammirare a Torino dalla terrazza di un amico di chi scrive e da dove sembra di toccare la Mole, i Cappuccini e la Basilica di Superga.

Bello, si. Ma stiamo attenti che ogni medaglia ha due facce, la prima ed il suo verso. La bellezza del panorama, il piacere di prendere il sole sulla terrazza della propria abitazione hanno come contropartita l’obbligo di mantenerla in efficienza quando la terrazza stessa rappresenta la copertura degli alloggi ad essa sottostanti.

Ci troviamo al cospetto di due previsioni di legge in materia di Condominio e precisamente all’art. 1122 ed all’art. 1126 c.c.

L’art. 1122 c.c. prende in esame la situazione che si viene a creare quando delle parti che sono destinate all’uso comune dei condomini siano state attribuite in proprietà o in uso ad uno di essi. Ad esempio, appunto, la terrazza a livello prospiciente l’alloggio dell’ultimo piano cui serve e che è attribuito, di norma, in proprietà.

Ora, secondo quanto stabilisce quella norma, il proprietario o, comunque, chi utilizza in modo esclusivo tale terrazza non vi può fare costruzioni o lavori in genere che rechino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o, anche solo, al decoro architettonico dell’edificio.

Questa norma limita fortemente quella che è l’essenza del diritto di proprietà e cioè l’assolutezza dello stesso, normalmente si dice “è casa mia e faccio quello che mi pare”; ma quando casa nostra è anche una parte importante della casa degli altri condomini, come nel caso che stiamo esaminando, il tetto, allora non si può fare più ciò che si vuole, ma bisogna evitare che ciò che si fa rechi danno agli altri.

Parimenti, l’art. 1126 c.c., sempre nell’ottica che la terrazza a livello, pur essendo di proprietà o di uso esclusivo di un solo condomino, serve da copertura agli alloggi sottostanti stabilisce che le spese per la riparazione o ricostruzione delle stesse vanno suddivise per un terzo a carico del proprietario dell’alloggio cui ineriscono e per i restanti due terzi a carico di tutto l’edificio o della parte di esso cui la terrazza a livello serve.

Proprio relativamente alle spese per la riparazione della terrazza a livello la Corte di Cassazione, con una sua recentissima ordinanza (gennaio 2019), nell’affermare il principio che il proprietario della terrazza è tenuto alla manutenzione della stessa e che le spese vanno suddivise tra egli ed i condomini cui la terrazza serve, ha anche esonerato il proprietario da tale responsabilità nel caso in cui i lavori di riparazione vengano osteggiati dagli altri condomini.

Nel caso di cui si è occupata la Cassazione, il proprietario dell’alloggio cui ineriva la terrazza a livello aveva posto in essere un’attività rivolta al restauro della stessa al fine di impedire infiltrazioni di umidità nell’alloggio sottostante, tuttavia proprio il proprietario dell’alloggio coperto dalla terrazza aveva fatto in modo che tali lavori non proseguissero giungendo a sollecitare dal Comune dei provvedimenti che impedissero l’effettuazione delle opere necessarie alla manutenzione della terrazza stessa.

La Suprema corte ha dato ragione al proprietario della terrazza che si era adoperato per evitare i danni che poi si erano verificati in quanto tale sua diligente attività era stata fermata proprio da chi, poi, ha subito i danni che avevano portato alla vertenza.

La Cassazione ha, infatti, stabilito che tutti i condomini sono tenuti ad effettuare le opere di manutenzione della terrazza a livello secondo quanto stabilito dall’art, 1126 c.c. il proprietario può esimersi dalla responsabilità solo qualora ricorra un caso fortuito, la forza maggiore o la colpa di un terzo che, nel caso che ci occupa è consistita nell’opposizione colpevole del condomino alla diligente attività del proprietario della terrazza.

Avv. Maria Franzetta

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“Da oggi lei è trasferito, questo è un ordine…non le devo alcuna spiegazione!”.

Forse per alcuni di noi la carriera militare è un lontano miraggio ovvero una meta mai predeterminata, tuttavia da ora i nostri valorosi militari saranno trasferiti tout cuort senza ottenere alcuna spiegazione.

Questo è quanto stabilito da una recente pronuncia del Tribunale Amministrativo per la Regione Lazio, la quale definisce i trasferimenti di autorità dei militari come ordini che, per l’effetto, non richiedono specifica motivazione o la partecipazione dell’interessato.

Tale disposizione trae origine dalla proposizione del ricorso amministrativo ad istanza di un   militare trasferito per ragioni di incompatibilità ambientale in quanto coinvolto in un procedimento penale per gravi reati.

Segnatamente i provvedimenti di trasferimento dei militari emessi per ragioni di incompatibilità ambientale, come nel caso di specie ma lo stesso vale per i più generali provvedimenti con la quale l’Amministrazione dispone il trasferimento degli stessi, prevedono un’attenuazione delle garanzie procedimentali per il sottoposto.

Pertanto, vengono eluse le garanzie di partecipazione preventiva proprie di qualsivoglia procedimento in ossequio al principio del contraddittorio il quale, “volgarmente” per chi non è operatore del diritto, permette di esprimere le proprie ragioni e difendersi come, d’altronde, prevede anche la nostra Carta Costituzionale.

Tanto più che, i nostri valorosi combattenti non godono della possibilità di venire a conoscenza della motivazione che ha condotto al proprio trasferimento.

Con l’ardire di spingersi oltre, è forse questa la nota dolente della summenzionata pronuncia del Collegio amministrativo.

Tuttavia il suddetto provvedimento di trasferimento non rappresenta, ictu oculi, una misura di carattere sanzionatorio ovvero punitivo in quanto mira semplicemente ad assicurare che la Pubblica Amministrazione possa godere della fiducia dei destinatari della sua azione nonchè possa continuare ad assolvere ai propri compiti in maniera proficua.

Infatti la ragione della sopraccitata disposizione o, per meglio intendersi, del suddetto ordine si  rinviene nella tutela dell’interesse pubblico senza la necessità di procedere ad ulteriori accertamenti sulla sussistenza della responsabilità del sottoposto.

Pertanto, l’adozione del provvedimento di trasferimento risulta avulsa in toto dalle indagini sull’origine della situazione venutasi a creare a discapito del militare.

Anzi tale ordine viene emesso, altresì, nei casi di semplice messa in pericolo del bene giuridico che il medesimo  tutela.

Nel caso che ci occupa, tale bene è rappresentato dal corretto funzionamento dell’ufficio nonché dal relativo prestigio e non dalla permanenza del militare presso una determinata sede di servizio, la quale ultima costituisce una semplice modalità di svolgimento del medesimo.

Ebbene si, cari e valorosi militari, prestate il vostro zelante servizio ma tenete sempre pronta la valigia nell’armadio… non avrete tempo di chiedere alcuna spiegazione che dovrete già partire per altra destinazione.

Dott.ssa Silvia Giovanna Martini

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Diventare cittadini Italiani

La legge italiana prevede il termine di 10 anni di residenza come requisito per l’acquisto della cittadinanza. A mente dell’art 17/ter della legge n.91 del 5/02/1992, il diritto al riconoscimento della cittadinanza italiana è esercitato dagli interessati mediante la presentazione di una istanza all’autorità comunale italiana competente per territorio in relazione alla residenza dell’istante. L’istanza deve essere trasmessa al Ministero dell’Interno entro 30 giorni dalla data della presentazione. Prima del decreto legge Salvini i tempi di conclusione delle pratiche per la cittadinanza erano di 24 mesi, ai sensi dell’art 9 della legge 91/1992.

La recente riforma prolunga da 24 mesi a 48 mesi il termine per la conclusione dei procedimenti. Il termine cosi prolungato ha la stessa valenza sia per i procedimenti di concessione della cittadinanza per residenza sia per quelli di cittadinanza per matrimonio. In precedenza la cittadinanza per matrimonio contratto con cittadino italiano non potevano essere rifiutate trascorsi 2 anni della presentazione della domanda. Con la recente riforma le stesse potranno sempre essere rigettate anche con il decorso del termine massimo di 4 anni.

L’allungamento a 4 anni del termine per la Pubblica Amministrazione di definire il procedimento di cittadinanza è ritenuto da alcuni eccessivo. Anche se in conseguenza del continuo aumento delle istanze di riconoscimento e concessione della cittadinanza i tempi di attesa oltrepasseranno la soglia prefissata di 4 anni. Da questo si deve comunque tenere conto che la fase dell’istruttoria richiede la massima attenzione in quanto si riscontrano fenomeni di contraffazione dei documenti provenienti dai paesi di origine dei richiedenti. Si è vista cosi la necessità di allungare i tempi della cittadinanza de iure e de facto fino a 14 anni. A tale proposito per diventare cittadino italiano e allo stesso tempo europeo sarà una procedura sia più lunga che costosa anche per gli stranieri in possesso del permesso di soggiorno a lunga durata.

Per quel che riguarda i figli nati in Italia da genitori non cittadini la legge esclude l’acquisizione della cittadinanza subito dopo la nascita. Tuttavia è concesso a questi ultimi di presentare richiesta di cittadinanza dopo il raggiungimento della maggiore età.

La legge, inoltre, stabilisce che il requisito della residenza è necessario per acquistare la cittadinanza. Il domiciliato non può avere la stessa valenza anche quando si tratta di studenti universitari in possesso di permesso di soggiorno per motivi di studio per i quali può essere facilmente provata la presenza nel territorio per il periodo di 10 anni richiesta dalla legge.

Le altre ragioni per le quali si è arrivato alla nuova riforma sono principalmente legate ai fenomeni di terrorismo, in modo da evitare l’acquisizione della cittadinanza italiana ed europea ai potenziali terroristi oppure ai ricercati della giustizia.

Dott.ssa Elena Hoxha

Studio Legale Franzetta Dassano

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